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Referendum strumento logoro per un terzo degli italiani. Tra quorum e voto elettronico il 47% chiede una riforma | Sondaggio Ipsos

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Il recente referendum ha visto una partecipazione decisamente bassa. Benché fosse evidente a tutti che raggiungere il quorum del 50%+1 degli aventi diritto era palesemente improbabile, il dato finale è risultato inferiore a tutte le aspettative. Ad andare alle urne è stato il 30,6% degli italiani e il 23,8% dei residenti all’estero. Il dato, che d’altronde si accompagna a tanti altri referendum recenti (nell’ultimo trentennio il quorum era stato raggiunto, su 10 referendum non costituzionali, solo 2 volte), è stato oggetto di diverse interpretazioni. Da un lato la Cgil, promotore principale, che con il segretario generale Maurizio Landini, ha preso atto della sconfitta. Dall’altro il Pd che, con la segretaria Elly Schlein e diversi esponenti ha invece sottolineato la quantità dei partecipanti e il fatto che tutto sommato ci fosse una importante «base» di opposizione. Le forze dell’esecutivo, infine, hanno sottolineato la limitata partecipazione interpretandola come un segnale favorevole al governo e comunque indicatore della scarsa attrattività dei quesiti.

Che bilancio ne tirano gli italiani? La maggioranza assoluta (54%) si aspettava una partecipazione simile, segno del fatto che fosse percepito uno scarso interesse rispetto agli argomenti sottoposti al voto. E, se il dato si enfatizza tra gli elettori delle forze di governo, è interessante il fatto che anche tra le opposizioni questa convinzione rimanga assolutamente maggioritaria. Il 18% si aspettava un’affluenza più sostenuta (dato che in questo caso cresce tra gli elettori di opposizione). Analizzando la collocazione politica di chi ha votato, i partecipanti sono concentrati tra gli elettori del Pd (80% dichiara di essersi recato a votare), delle altre liste, dove vi è una forte presenza di elettori di sinistra e centristi (57%) e 5 Stelle (45%). Tra le forze di governo la partecipazione oscilla tra il 15% degli elettori di FdI e il 25% degli elettori della Lega.

Le ragioni della bassa partecipazione sono individuate in due aspetti: il fatto che l’abuso dei referendum li abbia progressivamente fatti apparire come inutili (32%) e la percezione che si trattasse di quesiti che sostanzialmente interessavano solo alla sinistra (26%). Questione che molti hanno sottolineato, tanto che alcuni commentatori hanno parlato di una conta all’interno del Pd e delle forze di opposizione. La prima ipotesi convince di più gli elettori del M5S, delle forze centriste e di sinistra e del Pd. La seconda ipotesi, di referendum interno alla sinistra, incontra il consenso della maggioranza assoluta degli elettori di Lega e FdI. Infine, la scarsa informazione sulla consultazione come motivazione del non voto (di cui si è a lungo dibattuto durante le settimane antecedenti il voto), è condivisa solo dal 13%.

Le motivazioni di non voto vedono una scelta ponderata: il 26% ha deciso di non andarci per farli fallire, visto che era contrario. A conferma del fatto che, per una parte non irrilevante degli elettori, il non voto referendario non è esattamente un’astensione, ma una scelta di campo. Motivazione che naturalmente prevale tra gli elettori delle forze di governo, in particolare FdI e Lega, mentre gli elettori di Forza Italia evidenziano una maggiore articolazione delle motivazioni di astensione. Al secondo posto troviamo lo scarso interesse per i quesiti (24%, dato che sale al 41% tra i 5 Stelle e al 31% tra gli elettori del Pd). Infine, al 17%, la noia per i referendum, percepiti come strumento inutile e abusato (25% tra gli elettori di FI; 42% tra gli elettori di liste minori).

La scarsa partecipazione è motivata come segnale del logoramento dell’istituto referendario (32%, dato che si massimizza tra gli elettori Pd, raggiungendo il 51%); quindi come una sconfitta dei promotori, Cgil e opposizioni (27%), infine come una vittoria per le forze di governo (13%). Che l’istituto referendario vada riformato è convinzione della maggioranza relativa degli italiani (47%, 76% tra gli elettori del Pd), mentre il 29% pensa che vada bene così com’è, si tratta solo di proporre quesiti capaci di coinvolgere maggiormente gli elettori (55% tra gli elettori FdI). Quanto alle riforme possibili, le tre principali ipotesi sul campo ottengono grosso modo gli stessi consensi (era possibile in questo caso fornire anche più di una risposta): parametrare il quorum sulla partecipazione alle ultime Politiche (23%), innalzare il numero delle firme necessarie per indirlo (20%), ricorrere anche al voto online (19%).

In sostanza, lo scarso appeal di questo referendum si è confermato nelle urne e nella percezione degli italiani che per la maggioranza assoluta si aspettavano la ridotta affluenza registrata. I risultati non sembrano incidere sulle opinioni né modificare i rapporti di forza tra maggioranza e opposizione (a dispetto del significato politico generale che molto esponenti politici hanno voluto attribuire alla consultazione), nonché tra i partiti (in questo siamo confortati anche dalle analisi dell’Istituto Cattaneo). E anche l’ipotesi di una riforma del referendum, per quanto molto considerata, non raccoglie l’adesione della maggioranza assoluta. Insomma, scarsi contraccolpi e, qualora ve ne fossero, probabilmente saranno limitati al Pd, il partito dove in misura maggiore sono emerse differenze di opinioni, anche decisamente importanti.

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15 giugno 2025

15 giugno 2025

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