
In Etiopia avete inaugurato la Grand Ethiopian Renaissance Dam, il più grande impianto idroelettrico mai costruito in Africa.
Quale significato assume quest’opera?
«Gerd è molto più di una diga. Il progetto — spiega Pietro Salini, amministratore delegato di Webuild — incarna una visione di sviluppo sostenibile per tutta l’Africa con l’obiettivo di produrre energia rinnovabile equivalente a tre centrali nucleari, con una potenza installata di oltre 5.000 MW. La visione che immaginava di trasformare l’acqua dei grandi fiumi in energia e progresso è una realtà e noi di Webuild siamo orgogliosi di aver contribuito, con la nostra esperienza, alla consegna agli etiopi di questa opera».
Il progetto che ruolo riveste rispetto al Piano Mattei immaginato dal governo italiano per l’Africa?
«Il Piano Mattei è una strategia concreta per costruire partenariati paritari con i Paesi africani. La recente visita della premier Meloni ad Addis Abeba ha sottolineato l’importanza dell’Etiopia come partner strategico nel Corno d’Africa. Il progetto Gerd, iniziato nel 2011, è in linea con gli obiettivi del Piano: portare acqua, energia, sanità e infrastrutture dove servono, con investimenti che generano sviluppo reale, perciò il coinvolgimento delle imprese italiane risulta strategico».
Cosa rappresenta la diga per l’Etiopia?
«L’opera permetterà di raddoppiare la capacità energetica del Paese, rendendo possibile l’esportazione di energia verso Sudan, Gibuti, Tanzania e Yemen. Si tratta di un progetto che risponde a una doppia esigenza: garantire l’accesso all’elettricità a quasi 130 milioni di persone e permettere lo sviluppo industriale, in secondo luogo la nuova diga trasforma l’Etiopia in un hub energetico per l’intera regione dell’Africa orientale. Si aggiunga che il nostro intervento non si è limitato alla diga: abbiamo costruito un ecosistema fatto da villaggi per 10 mila persone, scuole, ospedali, ponti, strade e una pista d’atterraggio. Abbiamo, insomma, portato infrastrutture e competenze in una delle regioni più remote del continente, dove prima c’erano soltanto strade sterrate e villaggi isolati. È un’eredità concreta che va oltre la diga».
Che sfide ha richiesto un’infrastruttura come Gerd?
«È un’opera colossale. Abbiamo deviato il corso del Nilo Azzurro e costruito due dighe che formano un bacino lungo 172 chilometri, con strutture per la gestione controllata delle acque. Il progetto ha richiesto due grandi cantieri in un’area completamente priva di infrastrutture, dove hanno lavorato 25 mila persone, locali e italiani».
La grande diga sul Nilo Azzurro ha un valore simbolico come dovrebbe averlo il Ponte sullo Stretto?
«Gerd è il simbolo di un’Africa che sceglie di investire nel proprio futuro, con coraggio e visione. La diga è stata interamente finanziata dal governo e dalla popolazione etiope, dimostrando che è possibile realizzare grandi opere anche in contesti complessi, se ci sono determinazione e fiducia. L’opera rappresenta un modello virtuoso e dimostra come i progetti strategici possano generare sviluppo reale. È un messaggio anche per il nostro Paese: le grandi opere richiedono visione, perseveranza e collaborazione. E quando si realizzano, cambiano in meglio la vita di milioni di persone, proprio come nel caso del Ponte».
Per Webuild qual è il primo bilancio di questo esercizio 2025?
«A fine luglio abbiamo confermato target che erano già stati oggetto di rialzo».
L’anno prossimo termina il Pnrr. Quanto è urgente un nuovo piano di interventi nel settore delle grandi opere?
«Il mercato è globale ed enorme. Le risorse del Pnrr erano solo una parte delle risorse dedicate alle infrastrutture, e in Italia continuano a esserci molte opportunità grazie a una visione di medio-lungo periodo di crescita infrastrutturale e che insieme a una filiera di eccellenza intendiamo continuare a cogliere». (RIPRODUZIONE RISERVATA)
10 settembre 2025 ( modifica il 10 settembre 2025 | 14:31)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
10 settembre 2025 ( modifica il 10 settembre 2025 | 14:31)
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