«Le regole su cui si basa il mercato unico non vengono stabilite nelle sedi delle grandi aziende della Silicon Valley e nemmeno alla Casa Bianca. Vengono stabilite dal Parlamento europeo». Manfred Weber, presidente e capogruppo del Ppe al Parlamento europeo, ricorda le linee rosse da non oltrepassare nel negoziato sui dazi con gli Stati Uniti.
Si profila un accordo asimmetrico sulle tariffe con gli Usa. L’Ue dovrebbe accettarlo o reagire con contromisure?
«L’Unione europea rappresenta il 22% del Pil globale, mentre gli Usa il 25%. Siamo abbastanza alla pari in termini di dimensioni e potere economico. Partiamo da un punto di forza. Trump non può maltrattarci come sta facendo con il Canada, la Gran Bretagna o altri Paesi più piccoli. Il presupposto è l’unità. È stato molto positivo che tutti i leader — Macron, Meloni, Merz — abbiano confermato che è la Commissione a negoziare. Ora siamo nella fase finale. La priorità è porre fine all’incertezza e ottenere chiarezza per le nostre imprese. Il Ppe sostiene il principio delle tariffe zero per i prodotti industriali. Il resto è nelle mani dei negoziatori».
Quali sono le linee rosse che l’Ue non deve superare nei negoziati? Washington insiste sulle regole digitali.
«Ben vengano le aziende americane in Europa con i loro servizi. Ma una cosa è chiara: definiamo le nostre regole da soli. Il DMA e il DSA, le regole digitali sono espressione della nostra volontà. Le abbiamo definite nello scorso mandato. Chiedo alla Commissione di applicarle».
L’accordo raggiunto al vertice Nato avrà un impatto positivo sui negoziati con gli Usa?
«La scorsa è stata una settimana positiva per la cooperazione transatlantica, con il risultato del vertice Nato che ha portato a un accordo comune del 5% e la conferma da parte di Trump del suo impegno della Nato. In questo momento storico, non è possibile pensare a una difesa europea senza i nostri partner americani. Ma ora il nostro compito è passare al pilastro europeo della difesa all’interno della Nato. Voglio ringraziare il governo italiano e Antonio Tajani, perché con la sua insistenza sul pilastro della difesa europea è una voce forte: sta trasmettendo lo spirito di Adenauer, De Gasperi e Schuman».
L’Italia e altri Paesi chiedono debito comune per la difesa europea. È arrivato il momento?
«Potremmo risparmiare miliardi di euro dei contribuenti se agissimo insieme come europei. Quindi il punto di partenza non è prendere in prestito denaro ma essere efficienti. Pensiamo ai grandi progetti, come il sistema di difesa missilistica e il sistema di sorveglianza aerea per l’Europa o alla difesa informatica. Tra due settimane la Commissione presenterà il bilancio pluriennale dell’Ue: dobbiamo includere i progetti faro europei per il settore della difesa. Se questo non bastasse — lo dico come leader del partito e del gruppo Ppe — tutti gli strumenti finanziari sono sul tavolo e ne potremo discutere in futuro. Non c’è tempo da perdere. Putin sta diventando sempre più aggressivo».
Orbán ha accusato Bruxelles e l’opposizione ungherese di aver orchestrato una marcia dell’orgoglio «ripugnante e vergognosa». È il momento che l’Ue intervenga?
«L’Ungheria viola i principi fondamentali: è una valutazione condivisa dalla Commissione, dal Parlamento europeo, da molti Paesi e dal Consiglio europeo, dove crescono sempre più la rabbia e la frustrazione nei confronti del comportamento di Viktor Orbán. Se si guardano i sondaggi, più del 50% degli ungheresi sta attualmente pensando di votare per il nuovo movimento, il partito Tisza (membro del Ppe, ndr) che affronta le questioni reali: sistema sanitario, lotta alla corruzione, educazione. Orbán ama provocare ma non può costruire un futuro reale per il suo Paese».
I socialisti e i liberali hanno minacciato di ritirare il loro sostegno a von der Leyen. Accusano il Ppe e la presidente di flirtare con la destra, specie sul green deal. La Commissione è a rischio?
«Lavoriamo su un terreno solido. È passato un anno dalle elezioni europee. La campagna elettorale è finita. La gente si aspetta che manteniamo le promesse e agiamo. Ora si tratta di contenuti, contenuti, contenuti. I socialisti devono chiedersi come riconquistare gli elettori. Ho i miei dubbi che ci riescano con la direttiva Green Claims che prevede che le aziende debbano pre-approvare alcune dichiarazioni ecologiche se vogliono fare pubblicità. Ma in Europa è già vietato fare pubblicità ingannevole. L’approvazione preventiva è esattamente l’opposto di ciò che il Ppe ha promesso in campagna elettorale e cioè meno burocrazia. Per questo non riesco a capire perché Schlein e gli altri socialisti. Il Ppe non sosterrà mai un tale mostro burocratico. Se la sinistra vuole farlo, allora vediamo come deciderà la maggioranza del Parlamento».
Carlo Fidanza, capo delegazione di FdI, ha detto in un’intervista che «la maggioranza di Ursula non esiste più a livello politico» e che l’Ecr funge da ponte tra il Ppe e la destra per costruire maggioranze alternative su singole misure. È così?
«Solo chi è a favore dell’Europa, dell’Ucraina e dello Stato di diritto può essere nostro partner: questa è la nostra linea rossa. Ed è per questo che la tedesca AfD o Fidesz di Orbán , che si oppongono al sostegno all’Ucraina, non possono essere un partner per noi. Nell’ultimo anno, abbiamo votato oltre l’80% di tutti i voti al Parlamento europeo insieme a socialisti e liberali: la piattaforma è un luogo dove possiamo ottenere risultati. Noi restiamo al centro, con i partiti pro europei, e vogliamo lavorare insieme. Vedo lo stesso comportamento da parte di Meloni e la ringrazio. Con Tajani il governo italiano si è chiaramente schierato dalla parte delle voci serie a livello europeo. Sono molto felice che Merz abbia partecipato alla riunione sulla lotta contro l’immigrazione clandestina e che ci sia un buon legame con Meloni. Abbiamo bisogno della cooperazione tra le persone ragionevoli al centro».
Come finirà la mozione di sfiducia contro von der Leyen presentata da Gheorghe Piperea dell’Ecr?
«È chiaro che fallirà. Il Ppe si opporrà e penso che anche tutti altri gruppi democratici non sosterranno un’iniziativa che proviene in gran parte dall’Europa delle Nazioni sovrane, ovvero il gruppo dell’AfD. Prende di mira l’intera commissione, anche Raffaele Fitto che è dell’Ecr. Conto sul gruppo italiano dell’Ecr (FdI, ndr) per convincere ora anche l’Ecr polacco a ritirare le firme dall’iniziativa. Dobbiamo dimostrare responsabilità in questo momento e la cooperazione del governo italiano è estremamente importante in questo momento».
LEGGI ANCHE
30 giugno 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA