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Villalta e l’ultimo abbraccio a Bonamico: «Ho perso un fratello, era un marine solo in campo. Ci giocammo la maglia numero 10 a testa o croce»

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Renato Villalta, per lei Marco Bonamico dev’essere stato qualcosa di più di un compagno di squadra.
«Ho perso un fratello. Per tutto quel che abbiamo condiviso in campo, per il moltissimo tempo trascorso assieme fuori. Con lui era bello parlare di tutto, mica solo di basket. Era tutto il contrario di quel che molti pensavano che fosse».

Colpa di quel soprannome, il Marine?
«In campo poteva anche starci, era senz’altro un giocatore duro, ma non più di tanti altri. Fuori dal campo invece, non c’entrava niente. Una bella persona, aperta, divertente, sempre con la battuta pronta. Anche molto generoso, contro tutti i cliché, visto che era genovese».

Vi conoscete nel 1977 e subito tra voi c’è una disputa, per chi deve avere la maglia numero 10, a cui entrambi tenevate molto.

«Ero arrivato alla Virtus l’anno prima, quando lui andò in prestito alla Fortitudo, c’era il 10 libero e lo presi io, l’avevo sempre avuto anche prima a Mestre. Nel ’77 torna lui e rivuole il 10, io non ci sto e andiamo dall’avvocato Porelli per dirimere la questione. Ma a lui non interessa niente, dice di vedercela tra noi».

Come va a finire?
«Ce la giochiamo a testa o croce. Vince lui e si riprende il 10: io quell’anno ho portato l’11. Ma solo quell’anno, perché poi Marco nel ’78 è andato a Siena, io mi sono ripreso il 10 e non l’ho più mollato: quando è tornato per la seconda volta, due anni dopo, feci forza sull’anzianità di servizio, e lui prese il 15. In nazionale era lo stesso, ma lì c’era la regola che sceglieva chi aveva più presenze, io lo superavo e così la 10 era sempre mia».

Vi siete passati anche la presidenza dell’Associazione Giocatori.

«Io sono stato il primo presidente Giba, lui il secondo. Perfetto per tanti ruoli diversi, perché aveva cultura, parlantina, un ottimo inglese. Ed è stato forse la migliore spalla tecnica per le partite in tv della Rai».

Assieme mille battaglie, moltissime vinte. Le riesce una classifica?
«Impossibile, sono troppe. Senza fare confronti, diciamo che non possono non esserci lo scudetto della stella della Virtus, l’argento olimpico a Mosca e l’oro di Nantes con la Nazionale. Quello fu dopo la grande rissa con la Yugoslavia, quando io mi presi un calcione là sotto da Kicanovic, che prima aveva avuto uno scontro piuttosto duro con Marco. Battaglie così, ti uniscono per la vita».

Lo sfondo di Strasburgo, in finale di Coppa Campioni?
«Probabilmente non era sfondo di Marco, c’erano stati altri episodi controversi, era rotto Jim McMillian e pure Marquinhos non stava bene. Quella volta lì girò tutto male, nello sport succede. Ma in un momento così triste voglio ricordarmi solo delle cose belle».


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5 agosto 2025

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