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Vigneti, un settore cruciale per il Trentino-Alto Adige. Ma attenzione alla bolla speculativa

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La recente pubblicazione del rapporto di Mediobanca sul mercato del vino contiene come sempre una miniera di dati estremamente interessanti, che offrono delle chiavi di lettura molto significative sull’andamento attuale e prospettico di questo mercato. Il settore vitivinicolo rappresenta una delle filiere più importanti in Trentino e in Alto Adige, sebbene i due territori siano caratterizzati da dinamiche profondamente diverse e quindi non confrontabili. Tale filiera vede nei nostri territori una presenza storicamente importante della cooperazione, con una quota comunque significativa di produttori indipendenti o comunque non aderenti al mondo cooperativo. Mentre in Alto Adige il mercato del vino ha una produzione relativamente ridotta, che viene prevalentemente consumata nel settore alberghiero interno, il mercato trentino è caratterizzato da volumi importanti, con un’elevata percentuale di esportazioni. Leggendo i dati di Mediobanca, la superficie vitata del Trentino rappresenta circa l’1,9% della superficie italiana, mentre solamente Cavit e Mezzocorona rappresentano oltre il 4% del fatturato complessivo dei produttori di vino in Italia nel 2024. Evidente che le sole uve trentine non consentono simili livelli di fatturato e quindi il mercato del vino trentino, per quanto riguarda i grandi produttori, è caratterizzato da grandi importazioni di uve e di vino da altre regioni italiane.

I dati del rapporto

La lettura del rapporto offre spunti di riflessione che una semplice scorsa alle tabelle non rende immediati. I dati che emergono vedono la nostra regione in testa come valore medio dei terreni, con circa 350mila euro a ettaro. Come accennato, non distingue le due province, ma immaginiamo che i valori siano sostanzialmente simili. Accanto a questo dato, emerge una minore redditività delle aziende trentine, che si collocano nella parte bassa della classifica. In realtà questi due dati sono in parte collegati tra loro. Innanzitutto, la redditività di Cavit e di Mezzocorona deve essere soppesata con le chiavi di lettura della cooperazione. In altri termini, obiettivo di queste aziende è la massimizzazione della redditività delle cooperative socie (per Cavit) e dei singoli soci per Mezzocorona. Il saldo del conto economico di queste aziende non è quindi rappresentativo del margine, che lo si vede prevalentemente nella voce «conferimento soci» che, stante le regole di bilancio italiane, figura come costo in conto economico. I soci di queste cooperative, siano cantine sociali o singoli agricoltori, hanno una remunerazione del conferito molto buona, e sono complessivamente soddisfatti di come il loro lavoro quotidiano venga pagato. In realtà, alla luce di quanto evidenziato sopra, la remunerazione a quintale di conferito che il socio riceve, non è rappresentativa dell’effettivo valore della sua uva. Questo perché al socio, assieme al valore del conferito, viene girato anche il margine che deriva dall’imbottigliamento e dalla vendita di vino prodotto non con le sue uve, ma con quelle acquistate, ad esempio, in Veneto. In altri termini, quello che riceve il socio è in parte valore del suo lavoro, in parte margine che deriva dall’attività di trading e di imbottigliamento di uve e vini che nulla c’entrano con il territorio.

Il rapporto tra soci e cooperative

Di per sé poco male, l’importante è che il socio sia soddisfatto. Certo, però c’è un punto di attenzione, che indirettamente va a impattare sull’altro dato significativo, il valore dei terreni. Da un punto di vista finanziario, il valore di un bene è dato dalla sua scarsità e dalla sua resa. Se rende poco, vale poco, se rende tanto, vale tanto. La mia sensazione è che il valore dei terreni vitati in Trentino, soprattutto in alcune zone, sia influenzato, anche in modo significativo, dal margine dell’attività esterna al territorio delle principali cantine, innescando quella che potrebbe essere una vera e propria bolla, che nulla c’entra con il metodo classico. Se la maggior parte degli agricoltori direttamente o indirettamente, tramite la loro cantina sociale, conferiscono a chi aggiunge all’effettivo valore di ciò che conferiscono, anche il margine che deriva da altre attività, su quel rendimento si definisce poi il valore dei terreni. E questi valori trascinano quelli di tutti i terreni, anche di quello del vignaiolo che produce vino con le sue uve e non con il pinot grigio che viene da Portogruaro. Di conseguenza, la redditività del vignaiolo (resa su investimento) ne risulterà depressa, ovvero avrà difficoltà ad ampliare la propria azienda. Probabilmente si tratta di una situazione non risolvibile, forse ai più va bene così, ma attenzione alla bolla speculativa, che potrebbe celarsi in questa zona di comfort. I terreni sono infatti talvolta dati in garanzia per investimenti, sia in attività produttive sia magari per metter su casa alla figlia o al figlio.

I rischi del mercato

Il rapporto Mediobanca evidenzia margini di rischio del mercato italiano che richiederebbero una certa attenzione. L’Italia è il primo esportatore di vino per quantità, con la Francia al terzo posto, mentre se guardiamo il valore, le posizioni si invertono, con la Francia al primo e l’Italia al terzo. Vuol dire che mediamente il vino italiano si colloca su una fascia di mercato più bassa, che è anche quella più esposta alle fluttuazioni di un mercato comunque in calo. Se poi consideriamo che il principale mercato di esportazione dell’Italia e del Trentino sono gli Usa, beh, l’impatto dei dazi potrebbe essere molto doloroso. Magari potrebbe aiutare provare a mettere in discussione la nostra convinzione di vivere nel migliore dei mondi possibili: sicuramente le eccellenze ci sono, ma nel momento stesso in cui ci convinciamo di essere i migliori, iniziamo a morire, perché il giorno dopo qualcuno diventerà più bravo di noi.


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14 luglio 2025

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