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Viaggio a Gaza, nel deposito blindato con il cibo che cuoce al sole. E Israele incolpa l’Onu

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DAL NOSTRO INVIATO
KEREM SHALOM (STRISCIA DI GAZA) – Giubbotto anti proiettile, jeep blindate, soldati mascherati: il tour stampa organizzato dall’esercito israeliano è scenografico. Il pathos sembra da viaggio all’inferno, invece serve a fare neanche un chilometro dentro la Striscia fino a uno dei centri logistici dove vengono scaricati i camion degli aiuti umanitari. Dove cuociono al sole tonnellate di aiuti umanitari è l’anticamera della guerra. Da Gaza nessuno, se non gatti e topi, magri anche loro, riesce ad intrufolarsi. Della battaglia in corso si sente solo il senso dell’immane dispendio di risorse e il rumore dei colpi d’artiglieria. Che Hamas lanci qui uno dei suoi ultimi razzi è impensabile, sarebbe un autogol politico clamoroso.

Nei piazzali di interscambio, i camion dell’Unicef e le auto con la bandierina dell’Onu aspettano il via libera. I giornalisti arrivano alle 17 e se ne vanno alle 19. I preziosi carichi e le auto con le bandierine sono ancora lì. Gli autisti dormiranno sui sedili.

«Laggiù, fuori dalle recinzioni c’è la guerra vera — si sfoga un ufficiale israeliano — Hamas continua a uscire dai suoi buchi e noi a perdere uomini. Quaranta in giugno, venti in luglio e tanti feriti». I suoi numeri sono da prendere con cautela perché molto più alti di quelli ufficiali. È l’«Operazione Carri di Gedeone» a cui in questa terra di ossessione biblica ha risposto Hamas con i «Sassi di David».

Permettere ai giornalisti di mettere la punta del piede dentro Gaza ha lo scopo di dimostrare al mondo che Israele fa entrare il cibo nella Striscia. «Guardate — dicono i soldati —, qui c’è l’equivalente del carico di 800 camion. E sono già nella Striscia, per noi sono ok. L’Onu deve solo venire a prenderli». La colpa è degli internazionali. «Primo perché — leggono i militari —, come dice il primo ministro Benjamin Netanyahu, la carestia a Gaza non esiste. Secondo perché eccoli qua gli aiuti». E, in effetti, c’è una distesa di scatolette di ceci, mais, pomodoro e poi pasta, riso, farina, biscotti proteici e ancora olio, dentifricio, sapone, pannolini. Sulle scatole i marchi dei donatori: Onu, Unicef, Emirati Arabi, Turchia, Giordania e tanti altri.
«Voi credete a quel che vi racconta Mahmoud Basal il supposto portavoce della Protezione civile di Gaza. Quello è un terrorista delle Brigate Ezaddin el Qassam, il braccio armato di Hamas. Uno così è disposto ad affamare i civili pur di far del male a Israele. Più gazawi muoiono e meglio è per Hamas. Mentre il nostro unico interesse è sconfiggere il terrorismo».

I militari non spiegano se Basal è nella loro killing list, ma soprattutto non rispondono alle obiezioni delle organizzazioni umanitarie. Ong e Onu rimproverano a Israele di rallentare di proposito il lavoro di svuotamento di questo grande magazzino a cielo aperto. «Ci danno pochissimo tempo per caricare i camion — accusa Ocha, l’ufficio Onu di coordinamento — e poi ci tengono in colonna fermi in attesa di uscire dall’area protetta. Il risultato è che non riusciamo a fissare il carico in modo che non cada nelle strade sconnesse dai bombardamenti e in più permettono che migliaia di persone, vedendo i convogli al di là delle reti, ci aspettino lungo la strada. Vanno aperti tutti i valichi, tutte le strade, non solo le poche, tre, decise da Tel Aviv».

Poi c’è il capitolo uccisioni. Più di 1300 palestinesi sono stati uccisi in attesa ai centri di distribuzione oppure mentre assaltavano i camion. Ieri l’Onu ha diffuso un video girato da un convoglio proprio all’uscita da questo piazzale. Si vedono centinaia di persone accucciate nella polvere, i vestiti dello stesso colore del terreno, che aspettano i camion. Quando qualcuno accenna ad alzarsi, dai tank israeliani partono raffiche di avvertimento che sollevano nuvolette di sabbia a 5-10 metri dalla folla. Ma neppure questo basta a fermare chi ha fame. Ci sono molti bambini sotto i 10 anni. «Inaccettabile sparare a gente disarmata che ha fame» dice l’Onu.

Un ufficiale che accompagna i giornalisti propone un altro numero: 600 milioni. «Tanto ha guadagnato Hamas rubando gli aiuti umanitari e rivendendoli sui mercati di Gaza». Impossibile da verificare, tranne che la fame è emersa drammatica dopo due mesi di blocco totale degli ingressi deciso da Israele a maggio e dopo che la distribuzione degli aiuti è stata sottratta alle Nazioni Unite per andare alla opaca fondazione israelo-americana dove lavorano ex soldati Usa e agenti della Cia.

2 agosto 2025 ( modifica il 2 agosto 2025 | 00:22)

2 agosto 2025 ( modifica il 2 agosto 2025 | 00:22)

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