
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK – Il lessico politico americano, grazie alla scelta trumpiana di raccogliere tutta l’agenda domestica dei primi due anni di mandato in un solo gigantesco disegno di legge, il Big Beautiful Bill, da passare per forza entro il 4 luglio, s’è arricchito di un termine desueto ieri diventato protagonista: «Vote-a-rama». Il vote-a-rama si verifica quando il Senato esamina una proposta di legge di particolare rilevanza utilizzando regole di dibattito a tempo limitato.Â
I vantaggi: procedura accelerata e maggioranza semplice (51 voti), aggirando la consueta soglia di 60 voti per l’ostruzionismo. Una volta scaduto il tempo di dibattito assegnato, però, i senatori possono proporre un numero illimitato di emendamenti, che vengono votati rapidamente in una sessione-maratona, da cui il termine «vote-a-rama».
Potremmo tradurlo con «voto a oltranza». Gli emendamenti vengono esaminati uno dopo l’altro con un dibattito minimo, in genere due minuti per parte. Le votazioni vengono spesso condotte consecutivamente, della durata di 10-15 minuti ciascuna. Il risultato? Una sessione estenuante, che può durare ore (o perfino giorni), con i senatori che votano decine o centinaia di emendamenti.
Trump poteva contare inizialmente su una maggioranza già di per sé risicata, 53-47, ma ha perso due voti per strada, i senatori Thom Tillis (da lui costretto di fatto al ritiro dalla politica, il presidente aveva organizzato un comitato elettorale per spodestarlo alle prossime primarie) e Rand Paul.
Era pallidissimo ieri il leader della maggioranza repubblicana al Senato, John Thune, che poteva permettersi soltanto di perdere un altro voto dopo quelli di Tillis e Paul (in caso di pareggio 50-50 il vicepresidente JD Vance romperebbe l’impasse portando il 51esimo sì). Il problema di Thune (e del suo risicato conteggio 51-49): il vote-a-rama ha sì reso impotenti i democratici, che non possono fare ostruzionismo, ma la clessidra corre e ogni eventuale emendamento porta potenzialmente con sé il rischio di piccoli ammutinamenti, franchi tiratori, piccoli incendi che sta a Thune soffocare.
Stipare tutto nello stesso disegno di legge da 940 pagine, tagli alla spesa e tagli alle tasse insieme, ha inevitabilmente spaccato in due quel che resta dell’anima del partito repubblicano: meno tasse fanno piacere a tutti ma ci sono da tenere buoni i «falchi del deficit», e la spesa pubblica per certi settori molto popolari come la sanità taglia nel vivo (e danneggia direttamente) molti Stati repubblicani.
Perché Trump appena insediato aveva sì cercato di spiegare che i tagli avrebbero colpito le spese «per la chirurgia del cambio di sesso dei topi», che come battuta faceva indubbiamente ridere, ma la realtà è che Elon Musk e la sua task force sulla spending review, morta prematuramente, hanno tagliato pochissimo.Â
E così tocca al Big Beautiful Bill: secondo i dati di un rapporto pubblicato sabato scorso, la legge toglierebbe a 11,8 milioni di americani l’ assicurazione sulla salute entro il 2034. La spesa federale per Medicaid, Medicare e Obamacare verrebbe ridotta di oltre 1,1 trilioni di dollari in tale periodo (1.100 miliardi), di cui oltre 1 trilione proveniente dal solo Medicaid. E molti Stati «rossi», trumpiani, dipendono pesantemente da questi fondi pubblici per la salute.
I cosiddetti moderati (ormai nella Washington di Trump tutto è relativo) non ci stanno, e la senatrice Susan Collins del Maine ieri notte ha presentato un emendamento che raddoppierebbe il fondo di stabilizzazione per gli ospedali rurali a 50 miliardi di dollari, e lo coprirebbe con una tassa su chi dichiara reddito superiore a 25 milioni di dollari, che è però un tabù per i colleghi tagliatori di tasse.
30 giugno 2025
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