
La sorpresa è stata amara. Niente 10%. La percentuale dei dazi per l’Europa Donald Trump l’ha fissata al 30%. Con la minaccia di aumentarla a ogni richiesta europea. E ora?
Secondo il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Aldolfo Urso, «sappiamo che non abbiamo alternativa al negoziato, perché se applicassimo misure di ritorsione innescando una guerra commerciale le conseguenze sull’economia dei due continenti sarebbero devastanti».
Ma l’asticella fissata dal presidente degli Stati Uniti è alta. Certamente non dà l’impressione che il tempo trascorso dalle iniziali minacce non sia servito a ridimensionare l’allarme. Anzi. La situazione sembra quasi peggiore di ogni previsione. Per Urso non è così: «Trump ha fatto altrettanto con altri Paesi, con i quali sembrava avesse già raggiunto un accordo». Il ministro snocciola esempi: «Basti pensare a Canada e Messico. A questi chiede che blocchino alle frontiere il traffico di fentanyl, la nuova droga che sta distruggendo le giovani generazioni americane. Ed è quanto sembra abbia ottenuto nel duro confronto con la Cina accusata di esserne il Paese produttore». Tutto questo, secondo il titolare del dicastero delle Imprese, «ci fa capire che non si tratta di un mero esercizio commerciale ma di una trattativa di ben più vasto respiro che per quanto ci riguarda chiama in causa anche gli investimenti europei sulla Difesa. E non solo».
Sul perché Trump abbia alzato così la percentuale di riferimento, Urso ha le sue idee: «Perché intende chiudere il negoziato entro luglio e quindi alza la posta». Ma allora che fare? Rispondere a muso duro con ritorsioni secondo il ministro sarebbe la soluzione peggiore, capace di innescare una guerra economica che entrambi i continenti devono temere. Dunque non esiste altro che la trattativa.
Ma Trump l’ha disegnata come un cappio. Qualunque tentativo ritorsivo lo stringerebbe attorno al collo Ue. Ci si chiede se vuole solo spaventarci. Secondo il ministro del Made in Italy «Trump lo fa consapevole che non può sostenere un negoziato prolungato perché l’impatto dell’incertezza sull’economia americana può essere devastante. Sin dall’inizio è stata una trattativa dura, proprio per questo non occorre reagire di pancia ma con la testa, mantenendo la coesione europea, responsabilità e unità d’intenti».
C’è chi chiede all’Unione europea di reagire. Di non mostrarsi spaventata. Urso però avverte: «L’escalation innescherebbe una guerra commerciale che nessuno sarebbe più in condizione di controllare. La Bce ha calcolato che eventuali ritorsioni europee avrebbero un effetto moltiplicatore nell’impatto negativo sulla economia del nostro continente. In molti ritengono che entreremmo in recessione». I rischi per l’Itaia colpiscono in particolare alcuni settori. Il ministro li enumera: «Automotive e meccanica, farmaceutica, vino e alimentazione». Automatica l’accusa delle opposizioni al partito di Giorgia Meloni di aver salutato con troppo ottimismo l’avvento di Trump. «Trump è stato eletto dai cittadini americani con un suffragio particolarmente rilevante. Dobbiamo prendere atto della realtà», fa notare il ministro di Fratelli d’Italia.
E annuncia anche novità sul fronte Ilva che mirano a salvare lo stabilimento: «Abbiamo presentato a Regione ed enti locali un piano di piena decarbonizzazione che sarà realizzato gradualmente in otto anni, con la prospettiva di fare dell’ex Ilva lo stabilimento siderurgico più avanzato e green d’Europa. I prossimi giorni saranno decisivi. Mi auguro prevalga la ragione e sia scongiurata la chiusura».
Intanto, il Tar ha accolto parzialmente il ricorso di Unicredit, confermando però alcuni aspetti del golden power per l’Ops su Bpm. Per il ministro «conferma quanto di sostanziale prescritto nel golden power». E se Giorgetti chiede alle banche di svolgere il proprio ruolo, Urso condivide «pienamente l’azione del titolare dell’Economia, la sentenza del Tar gli dà sostanzialmente ragione».
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12 luglio 2025 ( modifica il 12 luglio 2025 | 23:19)
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