
«Il tavolo è rosso»; «Socrate va ad Atene». La filosofia, per Aristotele, nasce e si fonda su un’intuizione molto semplice: quella di una corrispondenza tra il nostro linguaggio (e pensiero: il logos, in greco) e la realtà. In effetti, il nostro linguaggio è fatto da soggetti che compiono (o subiscono) azioni, o hanno proprietà. Ma questo non fa che rispecchiare la realtà, che si compone appunto di «cose» (sostanze, le chiamava Aristotele) che fanno o subiscono azioni, o hanno proprietà. Il tavolo, che è rosso; Socrate, che va a Atene. Sembra tutto ovvio, e la scienza moderna (quella che studiamo a scuola), pur con tutte le sue rivoluzioni, non ha fatto che spostare questa intuizione a un livello più elementare: gli ingredienti primi della realtà sono delle particelle elementari, dotate di proprietà primarie, che si muovono nello spazio.
Non è così, però. L’intuizione di Aristotele si fondava sulla nostra esperienza, costruiva la realtà a partire da come noi ne facciamo esperienza. Ma la nostra esperienza è limitata, e la realtà è più ricca, e molto diversa da quello che appare a noi. Come il bambino che scopre che il mondo non è come il villaggio natio, così anche noi dovremmo imparare ad adattare i nostri concetti a questa «nuova» realtà che la rivoluzione quantistica ci sta portando davanti agli occhi. La fisica quantistica sta dimostrando una grandissima efficacia nel rendere conto dei fatti del mondo. Ma comporta una «radicale revisione dei nostri concetti» (ad esempio quelli di spazio, tempo, velocità, ma anche libertà), degli schemi mentali che usiamo per pensare il mondo: la sfida non è trovare idee nuove, ma liberarci da idee che sembrano ovvie («la scienza è spesso scoprire che cose che credevamo di sapere con certezza sono invece sbagliate»). Di questo trattano le lezioni americane di Carlo Rovelli (Sull’eguaglianza di tutte le cose. Lezioni americane, in uscita oggi per Adelphi). Quali sono le implicazioni, filosofiche e concettuali, della rivoluzione scientifica in corso?
Non si tratta dei soliti paradossi. È proprio la nostra concezione complessiva della realtà che va rimessa completamente in discussione. Lo abbiamo appena osservato: siamo abituati a pensare alla realtà come se fosse formata da oggetti dotati di proprietà, indipendenti gli uni dagli altri, che occupano precise posizioni nello spazio e nel tempo (le sostanze, gli atomi). Ma la realtà è altro: «Nel mondo non esistono oggetti, spazio vuoto, modi assoluti per localizzare eventi, non significa nulla dire che qualcosa rimane nello stesso luogo». Dobbiamo abbandonare «l’idea che il mondo possa essere pensato come composto da cose che hanno sempre proprietà proprie, indipendentemente da altro». I fenomeni quantistici non sono pensabili come oggetti provvisti di proprietà indipendenti, perché le loro proprietà si manifestano sempre in relazione agli altri fenomeni con cui interagiscono. Non c’è nessuna grammatica elementare: di indipendente, separato o determinato non c’è proprio nulla. «Il mondo è inestricabilmente connesso». La realtà sono processi che si influenzano l’un l’altro.
Un elettrone viene sparato attraverso una doppia fenditura: il modo in cui registriamo il suo passaggio varia in dipendenza dalla misurazione (e da chi lo misura). Il gatto nella scatola è sia vivo sia morto, fino a quando Marco apre la scatola (il famoso esperimento mentale di Schrödinger). Di più, per un osservatore esterno Paolo che guardasse Marco, il gatto è ancora sia vivo sia morto (e Marco è ancora nella posizione in cui potrebbe vedere il gatto sia vivo sia morto, anche se lo ha già visto o vivo o morto!), mentre se avesse osservato il gatto questo sarebbe o vivo o morto (questo è l’esperimento mentale di Wigner). E per noi che osserviamo Paolo? La domanda ha poco senso. Non ha senso chiedersi «cosa succede» in assoluto (questo gatto benedetto è vivo o morto?): la realtà si realizza solo nell’interazione (il gatto è in un modo per Marco, in un altro modo per l’amico, in base alle diverse interazioni). Non esiste una realtà univoca, stabile, oggettiva, a cui fare riferimento. «Tutto ci porta verso un pensiero che è fatto di relazioni, processi, prospettive». «La realtà, come ci appare oggi, è più tenue di quella immaginata da vecchi modelli fisici o metafisici: è fatta di eventi discontinui, probabilistici, impermanenti, situati l’uno rispetto all’altro. Non vive in uno spazio, non si dipana in un tempo».
Sono tesi che lasciano sbalorditi, e che contrastano nel modo più netto con la tradizione dominante del pensiero occidentale, sempre in cerca delle cose in sé, del fondamento ultimo di tutte le cose (la materia, Dio, le idee platoniche o le sostanze aristoteliche, gli atomi e via di seguito: gli esempi non mancano). Un pensatore vissuto in India circa duemila anni fa aiuta a fare chiarezza (a questo dovrebbe servire la filosofia: a suggerire modi originali per pensare con efficacia il mondo). Nagarjuna, a cui Rovelli aveva già dedicato un capitolo in Helgoland. Le cose sono «vuote»: esistono, ma non hanno una natura propria e indipendente; le cose esistono grazie a, in riferimento a, in funzione di, dalla prospettiva di qualcos’altro. Non si tratta di negare la realtà, insomma, bensì di riaffermarne il carattere relazionale. Osservando una nuvola vedo un drago: chiaramente il drago non esiste di per sé, ma in dipendenza dall’incontro fra me e la nuvola. Per Nagarjuna lo stesso ragionamento vale anche per la nuvola. E pure per noi: anche noi e la nuvola siamo entità prive di una natura di per sé, perché sempre dipendenti dalle relazioni con le altre cose. Strano? Eppure, questa è la concezione della realtà che si ricava dallo studio della fisica quantistica. La realtà «è un gioco di specchi» (e non c’è niente al di fuori di questo gioco di rimandi).
È anche una teoria della conoscenza. Inutile aspirare a una oggettività che non esiste; dobbiamo rinunciare all’idea che sia possibile conoscere le cose in modo distaccato, come se potessimo abbracciarle dall’esterno. «Il mondo lo descriviamo sempre dal di dentro». È un punto decisivo: anche noi facciamo parte di questo insieme di relazioni variabili che è la realtà. Standone all’interno non potremo mai averne uno sguardo completo. La conoscenza è sempre soggettiva e parziale: è prospettica. Una certezza assoluta ci è dunque preclusa, ma non c’è bisogno di strapparsi le vesti (al contrario: la certezza, come insegnava Socrate, troppo spesso ci impedisce di aprire gli occhi di fronte a ciò che ci sta davanti). L’obiettivo non è quello di agganciare le mie conoscenze a una realtà ultima, bensì intrecciarle tra di loro in modo che costituiscano un tutto coerente (per quanto possibile) che mi permetta di muovermi in quella realtà.
«Esiste soltanto un vedere prospettico, soltanto un “conoscere” prospettico; e quanti più affetti lasciamo parlare sopra una determinata cosa, quanti più occhi, differenti occhi, sappiamo impegnare in noi per questa stessa cosa, tanto più completo sarà il nostro “concetto” di essa, la nostra “obiettività”». Questo non è Rovelli, ma Nietzsche: e aiuta a cogliere un punto decisivo della teoria di Rovelli (che, come i suoi pacchetti di quanti, non è mai dove uno si aspetta di trovarlo). In un’epoca ossessionata dal bisogno di certezze e semplificazioni, Rovelli prende la direzione opposta, difendendo un approccio pluralista alla realtà: si rifiuta insomma di rivendicare per la scienza (o, ancora più specificamente, per la fisica) un potere che non ha, quello di essere l’unico sapere in grado di spiegare “veramente” la realtà. «Chi dice che, se conosciamo le equazioni fisiche del mondo, sappiamo tutto del mondo dice, io credo, una sciocchezza». I modelli scientifici non sono specchi che riflettono la realtà: sono strumenti che ci permettono di coglierne alcuni aspetti, consentendoci di pensare a ciò che accade in modo efficace. Ma la realtà è anche altro, e anche gli altri saperi servono, allora: ci aiutano a leggere vari aspetti della realtà. «Impariamo sugli esseri umani attraverso la letteratura e la poesia, impariamo gli uni dagli altri, parlando e ascoltando ogni giorno, interagendo fra noi. Ciascuno di questi approcci descrive la realtà».
Il confronto con Nietzsche ci permette di introdurre anche un’altra questione, non meno importante. Parlare della realtà è interessante, appassionante. Ma non meno appassionante è la discussione circa ciò che consegue dalla scoperta che la realtà ha perso un centro unificatore (un tempo lo si sarebbe chiamato Dio). Siamo convinti che esista una realtà stabile — la meccanica quantistica ci costringe a «una radicale revisione» delle nostre concezioni. E le realtà morali? Esistono il bene e il male? E il giusto e l’ingiusto? Esistono, ma non indipendentemente da noi. Esistono, ma al plurale — non in sé come entità assolute, ma come espressione della pluralità dei nostri punti di vista. Sono radicate «nella nostra natura e nella nostra cultura», sono «un’espressione profonda di ciò che siamo»: anche i valori morali «sono fatti che riguardano il nostro mondo». Non è banale relativismo, e Rovelli ha buon gioco a smascherare le debolezze di chi è in cerca di certezze assolute pena il crollo della civiltà. Semplicemente, ci ricorda che ricondurre tutto all’opposizione tra luce e ombra, bene e male, non serve a molto. «Vivere è scegliere»: dobbiamo imparare a navigare fra spinte diverse, prendendoci la responsabilità delle nostre decisioni, cercando la soluzione migliore. È più faticoso, ma così è. Perché tutto è interrelato: non è una verità quantistica soltanto, è la realtà di tutti i giorni.
L’incontro a Milano con l’autore mercoledì 22 ottobre
Un invito a indagare le implicazioni filosofiche della rivoluzione scientifica in corso arrivato alla fine del 2024 dall’Università di Princeton, dipartimento di Filosofia: nasce da qui «Sull’eguaglianza di tutte le cose», il nuovo libro di Carlo Rovelli. L’autore lo presenterà con il direttore del «Corriere» Luciano Fontana mercoledì 22 ottobre alle 20.30 al Teatro dal Verme di Milano (via San Giovanni sul Muro 2) e in streaming su «Corriere.it».
16 ottobre 2025 (modifica il 16 ottobre 2025 | 09:41)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
16 ottobre 2025 (modifica il 16 ottobre 2025 | 09:41)
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