
Umberto Veronesi ha cambiato il mondo, più di una volta. Lo ha fatto pensando che avesse sempre qualcosa da scoprire e da migliorare, ritenendo che il bene fosse la nostra forza e il male solo «una caduta, una reazione, una disattenzione», senza escludere mai nulla della nostra umanità, alla maniera di Terenzio. Ha iniziato da giovane oncologo, in tempi in cui per un tumore al seno di piccole dimensioni si praticava la mastectomia totale, cioè si asportavano la mammella, i linfonodi ascellari e i muscoli pettorali. «Vedere i massacri che si operavano sui corpi delle donne mi sconvolgeva», raccontò in un’intervista al «Corriere della Sera». Fu così che inventò la quadrantectomia, una tecnica per intervenire solo sul quadrante in cui si trovava il tumore.
Non si trattò di una semplice intuizione, men che meno di un azzardo. Al nuovo approccio in sala operatoria era arrivato dopo anni di studi di anatomia patologica e poi di genetica in Inghilterra. Gli era chiaro, facendo autopsie e guardando i vetrini al microscopio, che nella fase iniziale le cellule cancerogene si riproducono in forma poco aggressiva e che, in assenza di metastasi, fosse sufficiente rimuovere solo il tessuto malato.
«I miei colleghi mi consideravano un folle e non si facevano problemi a dirmelo», ricordava. «Pensavano che volessi mettere a rischio la vita delle mie pazienti proponendo una chirurgia più mite». La conferma che avesse ragione arrivò dai risultati dal lavoro clinico che condusse all’Istituto nazionale dei tumori di Milano su 701 donne e che fu pubblicato sulla rivista «The New England Journal of Medicine», la Bibbia per chi si occupa di ricerca in campo biomedico. Era il 1981. (…)
Veronesi, «il prof» come lo chiamavano gli amici e i collaboratori, si schierava dalla parte del progresso disseccando i dogmatismi, andando controcorrente. Lui stesso si definiva un ribelle, un anticonformista, convinto che «l’innovazione si fonda sulla capacità di trasgredire» e che l’obbedienza in sé non sia un valore («pensiamo allo zelo dei burocrati nazisti»). Fu bocciato due volte dalla scuola autoritaria del regime fascista, diventando in seguito uno studente modello e laureandosi con il massimo dei voti.
A soli 39 anni, nel 1964, era già un’autorità, tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità lo annoverò tra i membri del Comitato mondiale di esperti sulla terapia dei tumori. Nei decenni a venire avrebbe avuto innumerevoli riconoscimenti, tra cui 14 lauree honoris causa. Ma non si fermò mai dentro il recinto della sua professione.
Uno dei suoi obiettivi era di trasformare i luoghi della cura, di mettere davvero i pazienti al centro delle terapie. (…) Nel 1994 fondò una struttura che nelle sue intenzioni doveva essere diversa: l’Istituto europeo di oncologia, noto con la sua sigla, Ieo. E quando divenne ministro della Sanità, durante il secondo governo Amato, tra il 2000 e il 2001, chiamò al suo fianco l’architetto Renzo Piano per stilare il metaprogetto dell’ospedale ideale (…). Visse l’impegno da ministro e da senatore (per il centrosinistra, nelle file del Pd, dal 2008) come avrebbe voluto Aristotele, che intendeva la politica come la disciplina che si occupa del bene supremo: il bene della comunità. (…)
Fu uno dei primi sostenitori del testamento biologico e pubblicò il suo a maggio del 2009. Si legge: «L’ho scritto di mio pugno per tre motivi: le mie note convinzioni sulla libertà di disporre della propria vita, l’amore profondo per i miei familiari, che non voglio siano mai straziati dal dubbio sul che fare della mia esistenza, e la fiducia e il rispetto per i medici che si prenderanno cura di me». Non fece in tempo a vedere la legge che nel 2017 approvò la possibilità di disporre le «Dichiarazioni anticipate di trattamento», ne avrebbe gioito. (…)
Il prof scuoteva le menti pigre e ne accettava le conseguenze. (…) Si ritrovava nella corrente filosofica secondo cui il male esiste solo in quanto assenza del bene, la privatio boni di Agostino. E credeva che la chiave fosse razionalizzarlo e comprenderlo: «Quando il mistero viene svelato, il demone scompare».
La guerra, per lui, non era un destino ineluttabile: «Io sono un pacifista e voglio pensare che lo status quo possa essere cambiato. Sono un utopista? Secondo alcuni sì. Ma mi domando quale alternativa esista al dialogo, alla comprensione profonda delle ragioni dei conflitti per progettare azioni concrete». Così la Fondazione che porta il suo nome ha istituito nel 2009 Science for Peace, un progetto internazionale dedicato a promuovere la pace attraverso la collaborazione scientifica. Nelle introduzioni ai convegni, il prof diceva che bisognava togliere armi alla guerra e che serviva una roboetica, un codice morale per la tecnologia militare.
Giudicava l’aggressività una caratteristica delle società maschiliste e supponeva che «le donne sono più adatte, in senso darwiniano, a essere le protagoniste del futuro perché hanno sviluppato maggiormente le doti della diplomazia e del dialogo, della tolleranza, della flessibilità e libertà di pensiero».
La violenza chiama sempre violenza, pensava. Per questo era contrario all’ergastolo e alle prigioni come luoghi di vendetta pubblica. Non mancava di sottolineare che gli Stati Uniti fossero l’unica grande democrazia ad aver mantenuto la pena di morte e avanzava una proposta: «Che tutti i favorevoli alla pena di morte (ce ne sono, eccome, anche in Italia), non si esprimano semplicemente con un tweet o con una risposta ai sondaggi, ma firmino un registro ufficiale per rendersi disponibili ad applicare di persona la pena».
Rispettava tutti gli esseri umani e rispettava gli animali, tanto che a tavola praticava la scelta vegetariana per motivi etici e per la consapevolezza dei principi di sostenibilità ambientale.
Pubblicò l’ultimo post, sul sito della Fondazione Veronesi, in vista della Conferenza mondiale di Science for Peace del 18 novembre 2016, intitolata «Migrazioni e futuro dell’Europa». Non poté parteciparvi perché morì qualche giorno prima, l’8, alla soglia dei 91 anni, nella sua casa di Milano, vegliato dalla moglie Sultana Razon e dai sette figli. Considerava la capacità di accoglienza una prova di civiltà e sosteneva che temere il cambiamento fosse poco utile, semmai bisognava prepararsi a gestirlo. Aggiungeva che «l’incrocio fra varie culture crea intelligenza» e, a questo proposito, amava citare un fenomeno che chiamava la fecondazione delle idee. «Se io do una moneta a te e tu una a me, abbiamo sempre una moneta ciascuno. Ma se io do un’idea a te e tu ne dai una a me, allora abbiamo due idee ciascuno».
Il volume
A cent’anni dalla nascita di Umberto Veronesi, esce per Sonzogno martedì 4 novembre «100 pensieri ribelli per cambiare il mondo, raccolta di scritti scelti del grande oncologo». Il volume (pp. 240, euro 17) esce nella collana Scienze per la vita, ideata e diretta da Eliana Liotta, giornalista e saggista che ha curato il libro e ne firma l’introduzione di cui qui sopra anticipiamo un estratto. Umberto Veronesi (Milano, 28 novembre 1925 – 8 novembre 2016) è stato una figura di riferimento internazionale per l’oncologia: a lui si deve un impulso fondamentale allo sviluppo della chirurgia conservativa per il tumore del seno. È stato direttore scientifico dell’Istituto nazionale dei tumori di Milano, fondatore dell’Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano, ministro della Salute e senatore.
L’incontro a Milano
Un omaggio a Umberto Veronesi a cent’anni dalla nascita per celebrarne l’eredità scientifica e umana. È lo spirito dell’incontro «Andate avanti, perché il mondo ha bisogno di scienza e ragione» in programma martedì 28 ottobre alle 18 a Milano nella Sala Buzzati del «Corriere» (via Balzan 3). Promosso dalla Fondazione Veronesi e dalla Fondazione Corriere della Sera, l’incontro sarà l’occasione per ripercorrere i passi del medico che ha cambiato la storia della lotta ai tumori e per presentare in anteprima il suo libro «100 pensieri ribelli per cambiare il mondo», in uscita per Sonzogno. Con Eliana Liotta, curatrice del volume, interverranno Ferruccio de Bortoli, presidente della Fondazione Corriere, e Paolo Veronesi, presidente della Fondazione Veronesi. Modera la giornalista Vera Martinella, coordinatrice dello Sportello Cancro (ingresso libero con prenotazione su fondazionecorriere.corriere.it/iniziative/100-anni-di-umberto-veronesi/, diretta streaming su Corriere.it e su youtube.com/ @fondazionecorrieredellasera).
27 ottobre 2025 (modifica il 27 ottobre 2025 | 12:13)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
27 ottobre 2025 (modifica il 27 ottobre 2025 | 12:13)
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