
E. Amaldi. G. Amaldi. U. Amaldi. Passato alla storia come Amaldi, Amaldi, Amaldi, il testo per le scuole superiori sulle cui moltissime riedizioni hanno studiato fisica milioni di italiani, me compreso. Cioè Edoardo, uno dei ragazzi di via Panisperna, amico e principale collaboratore di Enrico Fermi, Ginestra, sua madre e Ugo, lei, che ha avuto anche una straordinaria carriera al Cern.
Non sono in molti a sapere che la base era un libro di Fermi stesso…
«Dopo la guerra la Zanichelli chiese a mio padre e a mia madre: perché non fate una riedizione del libro per i licei che Fermi aveva firmato nel ’29? Scrissero allora in America a Fermi chiedendo se volesse riscriverla con loro e il premio Nobel per la Fisica rispose: fatelo voi, ve lo regalo. Ora non lo ricorda nessuno ma sulle prime copertine c’era scritto “tratto da un’opera di Enrico Fermi”».
D’altra parte suo padre e Fermi erano molto amici.
«Consideri che mio padre un giorno mi disse che le vacanze invernali del ’33 erano state straordinarie, perché una sera, nella pensioncina di Santa Cristina, Fermi aveva spiegato ai “ragazzi” la sua nuova teoria del decadimento beta — fondamento dell’attuale modello standard delle particelle — e perché mia madre gli disse d’essere incinta di me. Me lo disse proprio in quest’ordine».
Lei stesso conobbe bene Fermi. Che ricordo ne ha?
«Le nostre due famiglie erano molto legate. Non solo mio padre e Fermi, ma mia madre con Laura erano amicissime e scrissero nel 1936 anche un libro insieme (appena ripubblicato: Alchimia del nostro tempo, ndr). Passammo con lui e famiglia l’ultima vacanza che fece in Italia. Era il ’54. Ne ho per certi versi un ricordo penoso…».
Come mai?
«Nell’agosto del 1954 andammo in vacanza insieme a Pera di Fassa. Eravamo lì in questa pensioncina: si facevano lunghe escursioni, si giocava a tennis e si chiacchierava. Fermi continuava ad andare a Los Alamos dopo la guerra perché lì erano stati sviluppati i primi calcolatori, anche se ormai lavorava a Chicago. Decise di insegnarci come si programmavano i calcolatori. La sera riuniva Enrico Persico, suo amico di gioventù, mio padre, io e Giulio (suo figlio, ndr) e ci spiegava il linguaggio base dei calcolatori dell’epoca. Ci spiegava e ci dava degli esercizi per la sera dopo: quando riportavamo i nostri quadernini ero vergognoso».
Paura di brutti voti?
«Avevo 20 anni: facevo il secondo anno di fisica, avevo tutte lodi ed ero sempre stato tra i primi della classe al Tasso di Roma ma non riuscivo a fare quegli esercizi. Mio padre e Persico facevano sempre tutto bene. Fu una delle grandi lezioni di umiltà della mia vita. Erano di un altro livello».
Erano dei giganti sulle spalle dei giganti…
«Penso sempre a quelle serate per me molto penose. Devo dire che anche Giulio non era molto bravo. Lui soffrì molto nella vita per il confronto con la figura paterna. D’altra parte metto Fermi tra i grandi, gli extra Nobel, come li chiamo io: Fermi era al livello di Einstein, Galilei».
Altri ricordi di quegli ultimi giorni con Fermi?
«Ricordo benissimo che durante la stessa vacanza un giorno eravamo a pranzo tutti insieme, nella pensioncina. Fermi a capotavola fu scosso da una tosse terribile e un conato di vomito. Corse fuori dalla sala e Laura Fermi lo seguì molto turbata. Credo che fosse una delle prime manifestazioni del male allo stomaco che lo ha portato alla morte. Tornato a Chicago venne visitato e fu lì che scoprirono il tumore. In pochi mesi morì a soli 53 anni. Mio padre mi disse più volte: “Chissà quali altri contributi Enrico avrebbe regalato alla fisica se non fosse morto tanto prematuramente”».
Eppure in famiglia negli anni Cinquanta e Sessanta la star era sua madre Ginestra.
«Nel Dopoguerra mia madre si reinventò come prima divulgatrice scientifica italiana. E per Telescuola insegnava scienze nel canale unico della Rai».
Più nota di suo padre?
«In quegli anni nessuno sapeva dei ragazzi di via Panisperna e di cosa avessero fatto. Non si sapeva molto nemmeno della bomba nucleare e del progetto Manhattan. Tant’è che quando conobbi Clelia, mia moglie, le dissi: “Se vuoi vedere la mamma accendi la tv il martedì alle 16”. Era molto più nota lei».
Anticipò Piero Angela.
«Piero era molto amico di mio padre, che lo salvò».
Da cosa? È una notizia mai trapelata.
«Dalla Rai. Il canale di Stato aveva deciso di fare una rubrica sugli oroscopi. Piero si oppose e ne pagò le conseguenze: venne osteggiato pesantemente. Alla fine mio padre Edoardo andò dai vertici della Rai e gli disse che stavano oscurando il miglior giornalista scientifico. Fu così che venne riabilitato».
Mai disaccordi sulla fisica con suo padre?
«Non voleva che studiassi fisica e seguissi le sue orme. Disse che con questo cognome sarebbe stata durissima».
Come andò a finire?
«Mi iscrissi di nascosto».
Suo padre, oltre ad aver partecipato alla creazione dell’Esa, l’Agenzia spaziale europea, ha co-fondato il Cern di Ginevra dove è stato scoperto il bosone di Higgs ma dove è stato inventato anche il World Wide Web, concesso al mondo senza brevetti…
«Suo merito indiretto».
Anche questa è una novità…
«Nel ’46 mio padre con mia madre andarono negli Usa per vari mesi: voleva riprendere i contatti con la fisica americana. Andarono anche a Chicago ospiti dei Fermi. Va detto che, dopo le grandi scoperte del ’34, a Roma nel 35-37 rimasero solo Enrico e mio padre a fare le misure di precisione sui nuovi fenomeni, che pubblicarono insieme sulla più importante rivista americana. Dunque per mio padre la fisica dei neutroni era la fisica che avevano costruito insieme ma quando a Chicago faceva domande sugli ultimi risultati a Fermi, questi non rispondeva, esitava. Mio padre comprese che non poteva più parlare, con il suo maestro e amico, della fisica dei neutroni, che avevano contribuito a creare, perché ora era diventata segreto militare. Ne rimase scioccato. Quando nel 1953 si fece lo statuto del Cern, alla sede dell’Unesco a Parigi, Pierre Auger e mio padre insistettero che vi fosse scritto che non si dovevano proteggere le idee con i brevetti e che tutti i risultati dovevano essere pubblicati».
La vita della famiglia Amaldi non è solo un libro di fisica ma anche di storia.
«A questo proposito ricordo bene un episodio del film The Catcher Was a Spy (sul giocatore di baseball-spia Usa Moe Berg che venne mandato in Europa per uccidere eventualmente il padre della bomba atomica nazista, Heisenberg, ndr). Io ricordo il giorno in cui Berg venne a casa nostra ai Parioli per parlare con mio padre. Avevo dodici anni. Lui aveva spalle enormi. Gli alleati erano appena entrati a Roma. Seppi molti anni dopo da mio padre che la stessa mattina all’Istituto di Fisica aveva ricevuto la visita di un’altra spia. Tutti volevano Heisenberg. Erano in concorrenza. Mio padre mi disse anni dopo che l’altro gli aveva detto che un sommergibile lo aspettava a Napoli per portarlo negli Usa. Non partì. Ma disse ad entrambi di parlare con Gian Carlo Wick, che era il successore di Fermi alla cattedra di fisica teorica di Roma, parlava tedesco ed era amico di Heisenberg».
P.s. Il resto è un mistero: Berg incontrò Heisenberg ma lo lasciò andare. Nessuno seppe mai perché.
24 giugno 2025 ( modifica il 25 giugno 2025 | 22:11)
© RIPRODUZIONE RISERVATA