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Tutti i desideri del sultano. Così Vincenzo De Luca è pronto a diventare il «governatore ombra»

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Niente più chiacchiere e pallosi retroscena. La notizia, ormai, è quasi certa: Vincenzo De Luca continuerà a governare la Campania. Stanno finendo di limare l’ultimo dettaglio: manca solo l’accordo su chi, una volta eletto, dovrà fingere di essere il presidente della Regione (possibile e probabile che il designato sia davvero quel grillino di Roberto Fico: il quale, comunque, si farà piacere l’inghippo senza creare problemi. L’ex venditore di tappeti, che il destino a 5 Stelle volle far diventare addirittura presidente della Camera, adora le auto blu, gli piace da matti arrivare ai cocktail party in ghingheri seguito da portaborse e lingue struscianti e poi — soprattutto — sa quanto certi stipendi della politica riescono a far diventare bello gonfio il conto corrente).

Poteva bastare un box.
La notizia, sul serio, è tutta qui.

Le altre cento righe che seguono sono di lettura facoltativa, solo se volete farvi un’idea di come De Luca, spaventoso cacicco dem, si appresti non a vincere, ma a stravincere, e la segretaria del Pd, Elly Schlein, si appresti non a perdere, ma a straperdere.

Non è un giudizio, non è un commento, ma è cronaca: sono fatti, parole, immagini, è l’agghiacciante ghigno del sultano che sta facendo finire la partita con la segretaria esattamente come voleva. Anche se al Nazareno — quanta ingenuità, o che tragica presunzione — pensavano di esserselo levato di torno con quella sentenza della Consulta, che il 9 aprile scorso stabilì il limite dei due mandati. Sbagliavano. Su De Luca, per anni, hanno persino sbagliato soprannome: lo chiamavano, sprezzanti, «Sceriffo», oppure «O’ Faraone». Dolciastre suggestioni. In realtà a De Luca piace solo l’odore della battaglia politica. Quella spietata, senza prigionieri. Si esalta, si piace, si butta dentro. Ed è pazzesco che abbiano pensato di spaventarlo mandandogli sotto Sandro Ruotolo. Quello scendeva da Strasburgo e se ne andava in giro per Napoli a dire: De Luca non lo vogliamo più, De Luca con noi ha chiuso, giriamo pagina. Ma è lui ad averli girati. E raggirati. Seduto al tavolo delle trattative ha dettato tremende condizioni.

«Devo mettermi di traverso su Fico? No, vi prego, fatemi capire: voi, queste Regionali, le volete perdere o vincere? Perché se le volete vincere, se volete che io dia il via libera a quel grillino lì, dovete starmi a sentire. Anzi, mettetevi comodi e prendetevi un appunto scritto, che è meglio». Lucido, cattivo, abilissimo. Le labbra sottili e tremanti, la voce cantilenante (personaggio strepitoso: Crozza ha rinunciato ad imitarlo, perché l’originale è inarrivabile).

Allora, ecco — più o meno — la lista dei suoi desideri (chiamiamoli desideri).

Voglio un congresso regionale che incoroni come segretario campano del Pd mio figlio Piero, «finora gravemente vessato e umiliato dalla ragazza» (come forse saprete, tutti i cacicchi dem chiamano Elly Schlein, in un miscuglio di fastidio e ironia, «la ragazza»). Poi voglio pure decidere chi sarà l’assessore alla Sanità. Ed è chiaro che pretendo di indicare il nome dell’uomo che guiderà il consiglio regionale. In più, presenterò anche una o due liste («Tanto per controllare che il programma sia poi applicato come si deve»; tradotto: eleggerò un cospicuo numeri di consiglieri che mi serviranno a tenere per le orecchie quel Fico, «uno che, tra l’altro, in vita sua non ha mai fatto niente»).

Chinano la testa: gli stanno dicendo «Va bene, presidente», quasi su tutto. Certo, mettere De Luca nelle condizioni di continuare a condizionare le sorti della Regione per altri cinque anni, qualche fastidio lo provoca. Indirizzata a Schlein e Conte, e raccontata dal Corriere del Mezzogiorno, è arrivata una lettera firmata da 31 personalità che si riconoscono nell’area del centrosinistra (dal saggista Isaia Sales all’economista Giulio Sapelli): «Come pensate di rinnovare la politica italiana se nella regione più inguaiata d’Italia vi assumete la responsabilità di proseguire con uno come De Luca?». Conte abbozza, parla del sultano con toni bassi, concilianti, tattici. Tanto il lavoro sporco lo stanno facendo quelli del Nazareno. Sporco, a dir poco. Marco Sarracino, uno della guardia scelta di Elly, è sceso a Napoli per spiegare che il vicolo è stretto assai: «O lo facciamo contento, o quello è capacissimo di farci perdere la Regione dopo dieci anni».

Perché il sistema di potere organizzato da De Luca è una roba anche solo difficile da immaginare. Incide su tutto. Lui dà e toglie. Muove tessere e consenso. Sempre alimentando leggende (come quella di conoscere, uno per uno, i suoi elettori) e mischiando il dialetto a citazioni su Cicerone, pitonesco, geniale artigiano dell’arte oratoria studiata da grigio dirigente comunista e poi affinata negli anni in cui riuscì a prendersi Salerno, sindaco con effetti speciali (le fontane d’acqua nelle piazze e i manganelli ai vigili urbani, «Il manganello — spiegò — è un commovente oggetto di persuasione»): fino alla conquista di Palazzo Santa Lucia. Dove, adesso, pretende di restare come un fantasma. Più cacicco di tutti. Arrogante e potente, beffardo e insolente («Non parlo con quei farisei del Pd»). Il prototipo di quelli che Elly detestava. E che promise di far fuori dal partito.
Ora, invece, è costretta ad accontentarlo su tutto. Se no quello è capace di tutto. Per dire: qualche ora fa, su una vicenda locale, la gestione del Teatro San Carlo, s’è pure appiccicato con il sindaco di Napoli, Gaetano Manfredi, schierandosi con il centrodestra. (Sono due anni che ce l’ha con Manfredi, colpevole d’inciuciare con Fico).

Poi hanno sentito uno strano rumore. Tipo di api nervose. Ma erano i neuroni di De Luca.


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7 agosto 2025

7 agosto 2025

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