
La paura è la compagna scomoda ma onnipresente di chi riceve una diagnosi di tumore. La paura della malattia in sé, ancora oggi vissuta molto spesso come una condanna, ma anche quella degli effetti collaterali delle cure o delle ricadute della malattia. Il timore degli eventi avversi è forse il più pericoloso, perché può portare ad abbandonare le terapie o a non seguirle come si dovrebbe; in alcuni casi poi sono proprio gli effetti collaterali troppo pesanti a impedire di proseguire il trattamento e quindi minare la possibilità di debellare la malattia. Anche per questo, prima ancora di valutare se una cura anticancro funzioni, le prime fasi delle sperimentazioni cliniche devono innanzitutto misurarne la sicurezza e la tollerabilità: occorre capire se provocano effetti collaterali gravi, e anche se seguire la terapia sia fattibile senza rinunciare a una buona qualità di vita. Un elemento oggi ritenuto imprescindibile per valutare la reale utilità di un trattamento, come dimostra l’attenzione data al tema da innumerevoli ricerche presentate durante l’ultimo congresso dell’American Society of Clinical Oncology (Asco) che si è tenuto di recente a Chicago: «In oltre la metà dei nuovi studi sui farmaci finalmente viene considerata anche la qualità di vita dei pazienti, che oggi sono più ascoltati rispetto al passato. Perché l’ascolto è tempo di cura», dice Francesco Perrone, presidente dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom). Dare voce ai timori, chiedere informazioni, sapere quello che potrebbe accadere durante le terapie è il primo, indispensabile passo per affrontarle nel modo migliore.
Le paure più frequenti
Mi cadranno i capelli? Prenderò tanto peso? La nausea sarà tollerabile? Queste e tante altre domande si affollano nella testa di chiunque debba affrontare una terapia per un tumore: la paura degli effetti collaterali è uno dei timori più grandi dei pazienti e stando a dati recenti dei National Institutes of Health statunitensi è anche una della cause principali dell’angoscia connessa alla diagnosi, insieme al dover affrontare cambiamenti consistenti nella quotidianità che a volte sono dovuti proprio agli eventi avversi delle terapie.
Domande e risposte
Per questo oggi c’è sempre più attenzione alla tollerabilità delle cure.
Come spiega Massimo Di Maio, presidente eletto dell’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) e responsabile di Oncologia Medica 1 dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Città della Salute di Torino – Ospedale Molinette: «In passato ci si è concentrati troppo spesso sull’efficacia dei trattamenti proposti per il cancro, senza considerare che i vantaggi di sopravvivenza possono avere un costo pesante in termini di tollerabilità e qualità della vita. L’oncologo tende a pensare che il farmaco più attivo sia sempre la scelta migliore, ma un dialogo franco con il paziente può portare a conclusioni differenti perché è possibile che le sue priorità siano diverse. Ciò che più conta è una corretta informazione, dall’inizio, che non terrorizzi ma che sia onesta e risponda ai dubbi del malato: se diciamo che un trattamento è ben tollerato ma poi compaiono problemi è più difficile che il paziente li sappia gestire ed è probabile, invece, che si senta in qualche modo “tradito” dalla cura». Finendo magari per abbandonarla: l’aderenza alle terapie anticancro è legata a doppio filo con la loro tollerabilità. Anche per questo, come aggiunge Saverio Cinieri presidente di Fondazione Aiom: «Le terapie oggi sono sempre più pensate per essere semplici da seguire, senza un impatto troppo negativo sulla qualità di vita. Le nuove molecole per esempio si possono assumere sempre più spesso per via orale e oggi c’è un’attenzione costante, in ogni fase della cura, alla gestione precoce e specifica degli eventi avversi più comuni come la nausea, il vomito e la caduta dei capelli».
Corretta informazione
Un dialogo approfondito con i pazienti fin dall’inizio della cura è importante anche per dare la giusta motivazione, che può fare la differenza: «Abbiamo osservato che gli eventi avversi provocati da uno stesso farmaco possono essere vissuti in maniera differente a seconda del contesto di cura», riprende Di Maio. «Nella terapia adiuvante, quella cioè che si prescrive dopo l’intervento chirurgico, la tossicità viene “sentita” di più perché accade più spesso che non venga compresa l’importanza del trattamento successivo all’asportazione del tumore. La prima cura perciò è sempre una corretta informazione». Un paziente che sa che cosa aspettarsi sa anche come riconoscere le avvisaglie di un evento avverso, che così diventa più gestibile come specifica Di Maio: «Alcune tossicità arrivano all’improvviso, ma spesso impiegano giorni a svilupparsi: se un paziente è avvisato e magari seguito con monitoraggio digitale (un sistema di scambio di comunicazioni a distanza che sfrutta la messaggistica per dialogare con i pazienti, ndr) risolvere i problemi è più facile. Una diarrea intercettata presto si può bloccare aggiustando un dosaggio, una nausea riferita appena compare si può gestire con gli antiemetici: per molti effetti collaterali abbiamo rimedi efficaci. Anche per la fatigue, la stanchezza profonda che si accompagna spesso alle terapie anticancro e di cui si parla tropo poco: il movimento è la prima terapia, per spezzare il circolo vizioso che porta a muoversi sempre di meno e a sentirsi sempre più privi di energie».
Campanelli d’allarme
All’oncologo quindi è bene chiedere quali sono gli effetti collaterali più comuni con la terapia che ci si appresta a seguire, a quali campanelli d’allarme bisogna stare attenti e che cosa fare per gestire anche in autonomia i fastidi meno importanti. Senza cadere nell’equivoco che i nuovi farmaci siano del tutto innocui rispetto alla tanto temuta chemioterapia: è vero, colpiscono in maniera super-precisa i bersagli molecolari espressi dal tumore e sono più selettivi, oppure agiscono aiutando il sistema immunitario a combattere il tumore. Ma non sono “acqua fresca”: una revisione su oltre 270 studi e 305mila pazienti trattati con immunoterapia, pubblicata di recente sul British Journal of Cancer, ha sottolineato per esempio che nella pratica clinica reale, al di fuori degli studi, gli eventi avversi da immunoterapici sono comuni e di varia gravità. Come conferma Di Maio: «I farmaci diversi dalla chemioterapia non sono pillole magiche: quelli a bersaglio molecolare sono selettivi, ma non al 100 per cento; gli immunoterapici hanno una tossicità differente e magari meno frequente rispetto ai chemioterapici, ma possono dare reazioni immuno-mediate (fra cui per esempio eruzioni cutanee, alterazioni del numero dei globuli bianchi, polmoniti e coliti, ndr) che richiedono un intervento terapeutico o che possono essere così gravi da rendere necessario interrompere la cura. E se è vero che da soli possono essere meglio tollerati rispetto ad altre terapie, in combinazione con altri farmaci gli immunoterapici possono dare più tossicità. Per ogni paziente occorre trovare il giusto rapporto costo/beneficio, adattando i dosaggi e offrendo terapie di supporto in modo da mantenere il migliore equilibrio possibile, diverso per ciascuno e fondamentale per proseguire la cura senza rinunciare alla qualità di vita». «Anche il supporto psicologico e nutrizionale, per esempio, possono essere di grande aiuto per proseguire le cure e mantenere il benessere», conclude Cinieri.
28 giugno 2025
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