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«Tre ciotole», nel mondo di Michela Murgia, fra amore e malattia

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Alba Rohrwacher e Elio Germano, di nuovo insieme in un film, si confrontano con la morte, e con la perdita del proprio partner. « È una storia d’amore», dicono i due protagonisti, perché la morte sullo sfondo è come se desse forza alla vita.

In «Tre ciotole» (dal 9 ottobre nelle sale per Vision, produzione Cattleya), la regista spagnola Isabel Coixet, firma del cinema d’autore, percorre le orme di Michela Murgia (1972-2023), nel suo ultimo romanzo scritto in vita, poi ve ne sono stati altri postumi, e aleggia la sua uscita di scena. Disteso in 11 racconti, se ne privilegiano due, coerenti, fedeli nell’infedeltà, «una specie di associazione libera».

Elio Germano è Antonio con la sua umanità «scentrata», preso dal lavoro di chef nel suo ristorante, si rende conto troppo tardi di ciò che ha perso, lasciando Alba Rohrwacher, nei panni di Marta, vulnerabile e tenace insegnante di ginnastica. Lei ha un tumore terminale.

Dice lui: «Con l’avvicinarsi del lutto, riaprirà gli occhi sull’assurdità della vita, cercando brandelli di umanità perduta. La coppia cerca di comunicare, e ci riesce nel momento dell’addio». Dice lei: «La grazia con cui è scritta questa storia di vita e di dolore mi ha commossa da subito. Marta, che all’inizio si chiude in sé stessa, ha paura, è arrabbiata, ma resta curiosa. Mi ha insegnato come si possa arrivare a guardare il mondo in modo più limpido. La malattia diventa la possibilità di cambiamento o di semplice accettazione di ciò che si è».

Nel fluire delle parole filtrano altre urgenze: la resistenza al cambiamento, il fatto che non ci si possa capire. Ma dopo sì, dopo che gli eventi ci sovrastano. C’è una frase piena di verità poetica di Marta: «Se non mi avessi lasciata, se non mi fossi ammalata non avrei saputo che c’era un dopo». C’è la malattia che dà libertà e distingue ciò che è importante da ciò che non lo è. E poi incontri che non si ripeteranno, con gente che magari non vedrai più, come il medico che indaga sui disturbi alimentari di Marta ancora non connessi al tumore.

In un momento di apparente leggerezza, però legato a filo doppio al tema della solitudine, nell’«immaginazione sentimentale e civile» della scrittrice, irrompe la finta democrazia di Internet, la vita (in questo caso professionale) che dipende da un like, una recensione. «Finta, è vero. E fa sentire a tutti che si è parte dello stesso mondo», dice la regista. «Le cifre non sono l’umanità, siamo in una continua gara – interviene Elio Germano – , dove conta solo il primeggiare, la vittoria. A questo siamo allevati, quando invece è l’anticamera della solitudine e quindi dell’infelicità. Si passa la vita a proteggere i propri averi, e non facciamo mai i conti con i grandi temi, come la morte che ci riguarda tutti. È una società fondata sulla rimozione, senza più riti che ci proteggono, non li abbiamo più e quando arrivano ci prendono a schiaffi».

La regista non sapeva che Murgia, per chi la ama, è una figura di culto. «Non sapevo di questo culto — dice con un velo di ironia — ma non ho avuto paura, con la santificazione o senza». Elio: «Non so quanto le facesse piacere questa coltre di adepti. Michela voleva parlare a persone critiche non imbeccate, l’obbedienza cieca non produce mai buoni risultati».

25 settembre 2025

25 settembre 2025

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