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Totò «Vasa Vasa» Cuffaro: dalla carriera politica al carcere, fino alla rinascita con la Nuova Dc

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Totò, ma che davvero? Intendiamoci: innocente fino a prova contraria. Però già colpevole, una volta.

Affiorano ricordi come trailer di una serie Netflix. Con Salvatore Cuffaro detto anche Totò che, la mattina del 22 gennaio 2011, aspetta la sentenza della Cassazione a mani giunte, a capo chino, in ginocchio, nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, a poche centinaia di metri dalla sua abitazione romana. Un prete amico, l’aria cimiteriale: «Non lo disturbi. Si sta affidando alla Beata Vergine».

Totò prega con un filo di voce, il rosario tra le dita, un cappotto stretto sui suoi cento chili tondi, che pure lo hanno aiutato nella rapida e travolgente carriera da democristiano che voleva prendersi la Sicilia («Se dimagrissi — diceva — perderei voti»), la politica vissuta con slanci passionali e spregiudicati, sempre flessibile, anche troppo Totò, anche troppo, però sfoggiando una simpatia contagiosa, irrefrenabile, con cui si mescolava alla folla, attraendola, baciandola, così che fu prima inevitabile, e poi tragicamente leggendario, il soprannome di «Totò vasa vasa», Totò bacia bacia.

Tossisce, si soffia il naso, non si accorge dei due uomini del Ros in borghese, che lo tengono d’occhio da dietro una colonna. Guarda l’orologio, si alza e va ad accendere una candela. Nella cassetta delle offerte infila una banconota da 50 euro. Quindi esce e torna a casa con passi lenti, da palombaro.

Ad aspettarlo, ci sono sua moglie, Giacoma Chiarelli, e il figlio Raffaele: e poi uno dei suoi due fratelli, Silvio, più un amico caro. Forse, il più caro. L’onorevole Saverio Romano (lui, esattamente lui. Perché poi l’amicizia è tutto, nella vita).

La tivù è spenta, una luce grigia rimbalza sulla cupola del Pantheon e illumina il salone. L’avvocato telefona alle 12.50. Voce piatta, di circostanza: la condanna è a 7 anni di reclusione per «favoreggiamento» verso persone appartenenti a Cosa Nostra e rivelazione di segreto istruttorio. Totò si morde le labbra, gli occhi diventano acquosi, inizia a singhiozzare, lacrime nere gli rigano le guance. La moglie lo abbraccia forte, ma forte. Restano così per lunghi secondi. Poi a Totò passano il cellulare: è sua figlia Ida, da Palermo. «Una cosa devi promettere a papà: continua a studiare… Mi raccomando… Studia, piccola mia, studia». A questo punto, immagini in dissolvenza: con la moglie che lo accompagna in camera da letto. Sul comò c’è il borsone che gli aveva preparato («Me lo sentivo che sarebbe finita male»). Dentro ci sono due libri (La fattoria degli animali di George Orwell e un romanzo di George Simenon, Il ranch della giumenta perduta). Poi un maglione blu di cachemire. Il necessaire con lo spazzolino, il dentifricio, la schiuma da barba. Gli occhiali di ricambio. Un pigiama, un accappatoio. Lui infila anche una copia del Vangelo di Matteo.

Due ore dopo, eccolo mentre varca il cancello del penitenziario di Rebibbia ormai da ex senatore, ex governatore con il tratto del sultano, ex potente così potente da offrire cannoli farciti di ricotta e arroganza ai dipendenti della Regione, il giorno dopo la sentenza di primo grado. Alza gli occhi al cielo, si fa il segno della croce.

Resterà in cella per 1.688 giorni: lo scarcerano in anticipo nel dicembre del 2015, con venti chili in meno addosso. Due anni dopo, si laurea in Giurisprudenza (perché — diciamo — conoscere bene il codice penale può sempre fare comodo), mentre sua figlia, nel frattempo, è diventata magistrato. Nel 2018, al Vinitaly di Verona, Totò presenta vini prestigiosi (tenuta Cuffaro, 70 ettari); nel 2020 si iscrive alla Democrazia cristiana nuova e poi ne diventa segretario nazionale. Si rituffa nel brodo preferito, stringe accordi con Noi moderati di Saverio Romano, partecipa a campagne elettorali con la gente che lo riconosce e lo acclama, ancora vuole baciarlo, e del resto lui di nuovo si offre e s’entusiasma, tenendo comizi — al solito — memorabili.

Un pomeriggio, sul palco del Politeama, per sostenere Roberto Lagalla, che sarebbe poi stato eletto sindaco di Palermo per il centrodestra, è con le vene del collo gonfie: «Gridate con me… La mafia fa schifo!». Applausi di puro divertimento. Poi lui, teatrale: «Comunque il problema dei palermitani, sia chiaro, resta il traffico».


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5 novembre 2025

5 novembre 2025

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