
«Ci sono persone malvagie in questo mondo/ Vivi abbastanza a lungo e verrai bruciato», cantano The Black Keys in No Rain, No Flowers. «Chi sono i cattivi? Purtroppo il più delle volte lo scopri tardi. Il brano riassume il nostro punto di vista sul presente», dice il batterista Patrick Carney che col frontman Dan Auerbach forma il power duo dell’Ohio, vincitore di un Grammy.
I Black Keys sono arrivati a luglio con il nuovo tour all’Ama Music festival (Romano d’Ezzelino, Vicenza) e a Rock in Roma (per un totale di più di 18 mila spettatori). Ma il 2024 è stato un anno caotico: la band ha annullato i concerti che seguivano la pubblicazione di Ohio Players («Il nostro album preferito») e si sono separati dal management. «È difficile affrontare il cambiamento ma è l’unico modo per superare i momenti duri: nessuno si occuperà dei problemi al posto tuo», racconta Patrick. Senza pioggia non sbocciano fiori, un monito che i Black Keys hanno messo anche nel titolo del tredicesimo album in studio: No Rain, No Flowers, in uscita l’8 agosto. «Questo lavoro è un po’ più allegro e ottimista rispetto al passato. Quando ci siamo chiusi in studio per incidere un disco non c’era altra opzione che rimanere positivi. Non era un buon momento per essere cupi, dovevamo perseverare e realizzare qualcosa di nuovo».
I Black Keys sono nati nel 2001 ad Akron, Ohio, «quando i social media non esistevano e internet non era una grande risorsa. Tutto era legato al passaparola. Ma sono convinto che oggi le giovani band debbano ancora salire su un furgone e suonare dal vivo, senza soldi e contro tutti. Solo così, se incontri le persone giuste, cresci. Come successe a noi».
Da più di dieci anni la loro base è a Nashville nello studio Easy Eye Sound. «Il nostro obiettivo è comporre musica che la gente ama ascoltare. Facciamo ancora tutto da soli — spiega Patrick —, collaborando con gli artisti che ammiriamo come Rick Nowels, Scott Storch e Daniel Tashian che hanno lavorato a No Rain, No Flowers». Nomi di peso nella musica statunitense ma meno in vista rispetto a una star come il britannico Noel Gallagher che ha lavorato con il duo in Ohio Players. «Ammiriamo da sempre i fratelli Gallagher. Abbiamo suonato a Manchester qualche giorno prima del loro ritorno a casa con gli Oasis, di nuovo insieme sul palco. La città era impazzita. Non siamo riusciti a vederli live, avevamo una data a Londra, ma è stato bello avvertire così tanta eccitazione per una rock’n’roll band».
I Black Keys rimangono un duo alternative che però è anche riuscito ad arrivare al grande pubblico. Negli Stati Uniti hanno ottenuto un disco d’Oro per Rubber Factory, 21 anni dopo la sua uscita, mentre in Italia, El Camino, pubblicato nel 2011, ha appena conquistato il Platino. «Mentre lo realizzavamo pensavo che forse era troppo rock, lontano da quello che avevamo fatto fino ad allora. Ma vennero a trovarmi Fabrizio Moretti e Albert Hammond junior degli Strokes. Ascoltarono l’album e mi dissero: hai almeno tre hit qui dentro. E le mie preoccupazioni svanirono».
I loro dischi non avvertono il passare degli anni: «Le persone continuano ad ascoltare i nostri vecchi album e per noi è importante. Ricordo la prima volta che sentii i Led Zeppelin: avevo 11 anni e loro non suonavano da parecchio, ma la chitarra di Whole Lotta Love mi sconvolse, avevano creato un suono senza tempo».
6 agosto 2025
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