
Quest’estate mentre molti erano in vacanza, nella piazza centrale di Bath, una cittadina georgiana dell’Inghilterra a pochi chilometri da Bristol, persone comuni e intellettuali per un’intera giornata si sono alternati leggendo ad alta voce i nomi delle migliaia di bimbi palestinesi morti a Gaza. Noi vi facciamo leggere soltanto un nome, Hana, che è il simbolo di un’inedita speranza di vita in una parte del mondo come l’Africa subsahariana dove di bambini così ne nascono ben pochi perché le loro madri sono ancora ghettizzate da una malattia come l’epilessia che le stigmatizza come indegne alla procreazione e dove nessuno le aiutava finché non è arrivato il progetto IGAP (Intersectoral Global Action Plan 2022-2031) dell’OMS per dare accesso alle cure per l’epilessia e le altre patologie neurologiche a 1 miliardo di persone, metà delle quali sono in Africa, dove nel 70-90% dei casi non hanno accesso alle cure.
Il piano sta formando operatori sanitari di base e volontari di comunità, sensibilizzando ed educando anche guaritori tradizionali e religiosi che fanno parte integrante del tessuto socioculturale africano.
Carenza di specialisti
«In Africa mancano gli specialisti cui fornire una preparazione neurologica adeguata e gli strumenti affinché mettano in pratica quanto appreso –racconta il neurologo del Besta di Milano Massimo Leone che ha aiutato la mamma di Hana nell’ambito di un progetto di assistenza congiunto fra il Besta e la Comunità sant’Egidio, iniziativa a cui ha aderito anche la SIN, la Società Italiana di Neurologia -. Allevare giovani neurologi è la giusta via per la soluzione di una malattia che pure in Occidente si trascina il fardello di un pesante stigma».
The African Dream
L’iniziativa è nata con un titolo gravido di aspettative: The African Dream, il sogno africano, dove dream è anche acronimo di Disease Relief through Excellent and Advanced Means, cioè risoluzione della malattia con metodi di eccellenza e all’avanguardia.
Pochi neurologici
Nell’Africa Subsahariana c’è un solo neurologo ogni 2,7 milioni di abitanti e i malati di epilessia finiscono nei centri di malattie mentali che, in più del 90% dei casi, sono gestiti da paramedici. L’IGAP punta a incrementare la medicina di base, integrando la cura dell’epilessia con quella di altre malattie croniche e trasmissibili (HIV, TBC, ipertensione ecc.) adottando un approccio clinico pressoché sconosciuto in Africa: seguire longitudinalmente i pazienti, un principio fondamentale nella cura dell’epilessia come nelle altre malattie croniche.
Esperti SIN
All’invito dell’OMS a svincolare questa malattia neurologica dai disturbi mentali fra i quali in Africa era relegata, la SIN ha risposto attivando un gruppo di esperti che ha promosso anche un servizio di tele-neurologia che si avvale di un sistema di elettroencefalografia online che registra i tracciati dei pazienti e li invia ai neurologi italiani che restituiscono ai medici africani una diagnosi con cui impostare una terapia adeguata.
L’utilità della valutazione tramite EEG su ampi campioni di popolazione ha avuto conferma da uno studio appena pubblicato su Eneuro da ricercatori indiani e tanzanesi che hanno anche indicato come siano emerse differenze nei tracciati rispetto agli occidentali evidentemente legate ai diversi stimoli ambientali di cui si dovrà tener conto nel trattamento.
Aggiornare il trattamento
Nel 2019 era uscita un’ampia review sull’European Journal of Epilepsy dell’università belga di Antwerp che, analizzando la situazione di queste donne in Africa, indicava la necessità di adeguare al più presto il loro trattamento ai canoni occidentali perché più del 16 per cento di loro riportava aborti spontanei, quasi il 42% parti prematuri, oltre il 4% dava alla luce bambini con malformazioni che aumentavano di un altro 2,1% in quelle trattate con la vecchia carbamazepina, farmaco spesso prescritto alle gravide in queste aree del mondo, mentre in uno studio appena pubblicato su Neurology i ricercatori dell’Harvard Chan School di Boston diretti da Sonia Hernandez-Diaz in gravidanza sconsigliano gli antiepilettici di vecchia generazione indicando come quello più rischioso sia il valproato (9% di danni neonatali) seguito dal fenobarbital (6%) e a seguire il topiramato (5%) e la lamotrigina (2%).
Danni più frequenti
I difetti neonatali più frequenti sono labbro leporino, pervietà del dotto cardiaco di Bottallo, spina bifida, arti mancanti o non completamente formati, ecc. Con gli antiepilettici di nuova generazione, come ad es. leviracetam, oxcarbazepina o zonisamide, questi problemi non si presentano per cui le neomamme che soffrono di epilessia, qui come dall’altra parte del Mediterraneo, non devono affrontare il grave dilemma fra curare la loro malattia e salvaguardare il bambino che portano in grembo.
La buona notizia è che in un paesino del Malawi, grazie all’IGAP, alla SIN e ai medici allevati dal dottor Leone, è nata Hanna senza nessuno di questi problemi e che, come sua madre Hemily, sta benissimo!
30 agosto 2025
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