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Testate subacquee e tsunami radioattivi. Ora la partita atomica si gioca sotto gli oceani

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Nel settembre 1983, il tenente colonnello dell’Aeronautica sovietica Stanislav Petrov evitò l’Olocausto nucleare. Quando gli schermi della sala di controllo delle forze strategiche dell’Urss, a pochi chilometri da Mosca, segnalarono che gli Usa avevano appena lanciato un missile balistico intercontinentale, a Petrov rimasero pochi minuti per decidere se il suo Paese fosse sotto attacco o meno. Ma invece di far partire il protocollo della catena di comando che avrebbe potuto portare a una rappresaglia, Petrov decise di aspettare. Aveva ragione, era solo un falso allarme, qualcosa nel sistema di allerta non aveva funzionato. «Mi sono categoricamente rifiutato di essere colpevole di aver fatto iniziare la Terza Guerra mondiale», avrebbe dichiarato nel bel documentario del 2014, L’uomo che salvò il mondo.

Nuovi rischi

Secondo il rapporto annuale del Sipri, l’Istituto internazionale per la ricerca sulla pace, nel prossimo futuro, in una situazione simile, il rischio di arrivare a un conflitto nucleare sarebbe molto più alto. Non solo perché una nuova corsa alla modernizzazione degli arsenali atomici è partita ormai da anni mentre allo stesso tempo il controllo degli armamenti è diventato quasi inesistente. Ma anche perché le nuove tecnologie spaziali e soprattutto il crescente ricorso all’Intelligenza Artificiale renderanno sempre meno decisivo il fattore umano, riducendo enormemente i tempi di reazione: «Nel mondo dell’AI, chi svolgerà il ruolo del colonnello Petrov?», si chiede il direttore del Sipri, Dan Smith.

Ci sono 12.241 testate nucleari oggi nel mondo, di cui poco meno di 10 mila custodite nei bunker e quindi non immediatamente operative. Di queste, 5.177 sono detenute dagli Stati Uniti e 5.459 dalla Russia.

Complessivamente, 3.912 testate atomiche sono pronte all’uso, collocate su missili e aerei, e di queste circa 2.100 sono tenute in permanente stato di allerta. Anche qui America e Russia hanno la parte del leone, con oltre 1.700 testate schierate rispettivamente, contro le 576 della Cina che però aumenta a ritmo serrato il suo arsenale, le 280 della Francia e le 120 del Regno Unito. Gli altri Paesi che posseggono l’arma nucleare sono India, Pakistan, Corea del Nord e Israele, quest’ultimo non ufficialmente.

Quando in Caccia a Ottobre Rosso Alec Baldwin, nella parte dell’analista della Cia Jack Ryan, cerca di chiarire al consigliere per la Sicurezza nazionale la pericolosità di un nuovo sottomarino sovietico, gli dice così: «Questa cosa potrebbe depositare un paio di centinaia di testate nucleari al largo di Washington o di New York e nessuno ne saprebbe nulla fin quando non sarebbe tutto finito». Sono passati trentotto anni dal romanzo di Tom Clancy, trentadue dal film. Ma quel sottomarino oggi esiste davvero.

Arma letale

Di tutti i teatri del confronto, quello di gran lunga più rivoluzionario e inquietante avviene infatti negli abissi. È sotto gli oceani che Mosca e Washington fanno a gara per dotarsi dell’arma risolutiva, quella da cui sarà impossibile difendersi.

Nel 2022 a Severodvinsk, alla presenza di Vladimir Putin, la marina russa ha varato il Belgorod, uno dei più grandi sommergibili mai costruiti: mosso da due propulsori atomici, lungo 178 metri, l’equivalente di due campi di calcio. È proprio come l’Ottobre Rosso: lo speciale design delle eliche e i nuovi materiali con cui sono costruite rendono il Belgorod silenzioso e difficile da localizzare dai sonar nemici. Eppure, la vera novità non è il sommergibile in sé, ma quello che ha dentro e fuori. Non ci sono infatti missili intercontinentali nella pancia del Belgorod, ma sei giganteschi siluri anch’essi a propulsione nucleare.

Lunga 24 metri, larga 2, capace di viaggiare a 140 chilometri l’ora anche a mille metri di profondità, quest’arma è stata battezzata Poseidon ed è il vero novum dell’arsenale russo. Armato di una testata atomica da 2 megatoni, 150 volte più potente della bomba di Hiroshima, esso può navigare senza ostacoli fino alle coste nemiche ed esplodere provocando uno tsunami radioattivo, in grado di seppellire un’intera metropoli e la sua regione.
Occorrerebbero 36 ore a un Poseidon per percorrere il tratto Murmansk-New York. Troppo? «I satelliti non potrebbero rilevarlo e viaggerebbe al riparo da ogni sistema di difesa», spiega H. I. Sutton, massimo esperto della guerra sottomarina e autore del blog Covert Shores. È vero, tuttavia, che non ci sono dati precisi sullo stato di sviluppo del Poseidon, se cioè sia già pienamente operativo. Certo è che la marina russa lo ha testato e che Putin vi ha spesso fatto allusione.

Gli Stati Uniti, tuttavia, non stanno a guardare.

Contromosse

Già da anni, il Pentagono ha stanziato fondi consistenti per realizzare diversi esemplari di un apparato innovativo, lo Xluuv, che avrà dodici «tubi» attraverso i quali potrà lanciare missili da crociera e anti-nave, mine e dispositivi per l’intelligence. Una delle sue missioni potrebbe essere anche quella di contrastare il Poseidon russo prima che si avvicini troppo ai bersagli. E, come spiega ancora Sutton, andrà a integrare l’azione dei grandi sottomarini nucleari Usa. Alcuni di questi, come la classe Ohio, hanno armi, ma diventano comando avanzato e base usando il meglio della tecnologia della US Navy. Questa capacità mutante sarà caratteristica fissa dei Columbia, la nuova generazione di sottomarini strategici.

2 agosto 2025 ( modifica il 2 agosto 2025 | 00:15)

2 agosto 2025 ( modifica il 2 agosto 2025 | 00:15)

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