
Una sfida in punta di diritto dal finale ancora ignoto. Questo quanto è andato in scena ieri, 5 novembre, in Corte costituzionale a Roma. Da un lato si è schierata la presidenza del Consiglio dei ministri, mentre dall’altro la Provincia autonoma di Trento. L’oggetto del contendere è ormai noto, il terzo mandato del presidente della Provincia. Norma apostrofata dalle opposizioni come «Salva-Fugatti». Partiamo dalla fine. La Corte costituzionale ieri non si è espressa ancora sulla questione dirimente per le sorti della politica trentina. L’ufficio stampa della Consulta ha fatto sapere che una nota verrà inviata soltanto al momento del deposito della sentenza. I tempi ancora non si sanno, ma vista l’importanza della questione, potrebbero volerci non troppi giorni. Per le motivazioni, invece, si dovrà attendere circa un mese.
Attesa per la sentenza
Entrando nel merito della questione. La giornata di ieri ha visto la discussione, in udienza pubblica, del ricorso promosso dal governo (con l’astensione dei ministri leghisti) contro la legge provinciale approvata lo scorso aprile. La difesa della Provincia autonoma si è incentrata sull’unicità del Trentino rispetto all’ordinamento nazionale. Ma andiamo con ordine. Il giudice relatore è stato Giovanni Pitruzzella che, nella sua relazione introduttiva, ha ricostruito l’intera disputa con le motivazioni di ambo le parti, spiegando anche che l’associazione «Più Democrazia in Trentino» è intervenuta nel giudizio come amicus curiae (Amico della corte): nel documento accolto l’associazione aderisce alle censure del Governo, sottolineando le criticità democratiche del sistema politico locale.
Roma: «Costituzione violata»
Per lo Stato, rappresentato dall’avvocato Eugenio De Bonis, le disposizioni provinciali violerebbero gli articoli 2, 3, 48 e 51 della Costituzione perché regolerebbero il diritto di elettorato passivo alla carica apicale provinciale in materia difforme dal resto del territorio nazionale. Inoltre, non ricorrerebbero, sempre secondo il Cdm, le peculiari condizioni locali che secondo la giurisprudenza costituzionale possono giustificare un trattamento differenziato. «A più livelli ordinamentali è stato posto il divieto di terzo mandato che quindi va a coprire la stessa situazione in cui si trova il presidente della Provincia, cioè di organo monocratico eletto a suffragio universale diretto che quindi ricade in una situazione del tutto assimilabile a quegli altri organi monocratici per i quali questo divieto è previsto», ha detto De Bonis.
Trentino, un unicum in Italia
Sulla sponda trentina si è invece puntato sulla particolarità del territorio, considerato un unicum in Italia e quindi non paragonabile ad altre situazione. Quindi non ci sarebbe la violazione del principio di uguaglianza perché sarebbero presenti specifiche condizioni locali per giustificarlo come la pluralità di minoranze linguistiche e la norma fissata dallo Statuto speciale che regola la durata dei mandati in relazione anche al consiglio regionale. E su questo punto ha insistito l’avvocato della Provincia autonoma Giovanni Guzzetta: «Questa difesa chiede alla Corte di considerare l’assoluta unicità e peculiarità della Provincia di Trento». Poi ha spiegato che i mandati trentini sono diversi perché vincolati al consiglio regionale e quindi, paradossalmente, due mandati — se svolti nella stessa legislatura — potrebbero durare meno di uno intero. Guzzetta ha anche specificato che Trento, pur nella sua eccezionalità, non può darsi qualsiasi regola sui mandati, ma in questo caso «non stiamo parlando di una norma eversiva o che altera in maniera radicale, in nome di una presunta specialità assoluta, l’orientamento prevalente su base nazionale», ha detto.
Presto una decisione
Ora la palla passa in mano alla Corte che dovrà decidere sulla specialità del Trentino rispetto alla legge elettorale. Nel mentre, ieri si è espresso anche il governatore del Veneto Luca Zaia sul dibattito riguardo al terzo mandato: «Tifo perché dalla Corte Costituzionale arrivi un sì. Non capisco per quale motivo le uniche due cariche elettive, sindaco e presidente di Regione, che sono scelte dal popolo, debbano avere il blocco di mandato».
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6 novembre 2025
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