Home / Scienze / Teoria della «mente incarnata»: come può la mente incarnarsi in un arto che non è più il suo?

Teoria della «mente incarnata»: come può la mente incarnarsi in un arto che non è più il suo?

//?#

Camminare non è solo una questione di cervello che calcola tutte le posizioni attraverso cui una gamba deve passare prima di dare il comando per il passo successivo. Richiede una coordinazione perfetta di tutto il corpo in modo da orchestrare nervi e muscoli per sfruttare le proprietà fisiche delle gambe, che funzionano come pendoli.
Per fare tutto questo ci vuole una continua comunicazione fra corpo e cervello, un fattore fondamentale che viene a mancare a chi in guerra, per un tumore o un incidente, perde un arto.
I recenti progressi nelle protesi di ultima generazione come quelle in fibra di carbonio che hanno reso famoso l’ex velocista sudafricano Oscar Pistorius permettono libertà di movimento prima impensabili.
La sensibilità che restituiscono, per quanto sempre più elevata, non è però più la stessa di prima.

iSens system

Come abbiamo raccontato di recente su Corriere Salute , uno studio basato sul cosiddetto iSens system, acronimo di implanted Somatosensory Electrical Neurostimulation and Sensing system, sembra poter cambiare la situazione, perché, grazie a questi elettrodi arti protesici inseriti al posto di quelli originali, si può recuperare la connessione persa riacquistando oltre, al movimento, anche la sensibilità. Il primo studio di questo tipo condotto sull’arto superiore è stato pubblicato in aprile sul Journal of NeuroEngineering and Rehabilitation e la novità consiste nella bidirezionalità della comunicazione che questi stimolatori attivano interfacciandosi con i centri cerebrali preposti ai movimenti e alla sensibilità, così come accadeva con i rami nervosi degli arti originali attraverso cui una gamba, un braccio o una mano diventano parte di noi.

Il concetto di «mente incarnata»

Al di là della prodigiosa tecnologica delle moderne protesi, dietro questi studi si cela un aspetto che va ben oltre il recupero di un arto e sconfina nella filosofia della scienza. Ognuno di noi è quello che è perché si trova nel suo corpo, un concetto che può sembrare ovvio, ma che è stato oggetto di profondi studi da parte dei filosofi della scienza che hanno chiamato questa comune sensazione embodiment, che letteralmente significa incarnazione, un concetto meglio noto col termine di «mente incarnata» a indicare che la nostra mente, cioè il nostro cervello, sono intrinsecamente legati al nostro personale stato corporeo.
Se questo cambia, per esempio perdiamo un arto, qualcosa cambia anche nel nostro cervello. E anche se lo sostituiamo con un arto bionico, l’embodiment non è più lo stesso: come fa la mente a incarnarsi in un arto che non è più il suo? A contestare questa teoria è uscito di recente uno studio che mette in dubbio quelli precedenti secondo cui l’amputazione di un arto non cambierebbe l’avatar neuronale che tutti abbiamo nel cervello, una sorta di omuncolo in miniatura dei nostri circuiti corporei, una perfetta rappresentazione neuronale del nostro corpo tant’è che anche se un braccio non c’è più, nell’omuncolo è invece rimasto intatto e può dar luogo alla famosa sindrome dell’arto fantasma per cui sentiamo dolore in un braccio che possiede solo l’avatar che abbiamo in testa.
I precedenti studi hanno invece sempre indicato che l’amputazione comporta un rimaneggiamento delle aree dell’omuncolo corrispondenti all’arto perduto, un concetto che ben si sposa con la teoria della «mente incarnata» che non può prescindere dalla percezione del corpo e non esiste se non attraverso di esso.

Neurofilosofia e nueroetica

Come scrivono nel loro libro Metafora e vita quotidiana (Roi edizioni) il cognitivista George Lakoff della California University e il filosofo di scienza dell’arte Mark Johnson della Oregon University, non penseremmo né ci comporteremmo allo stesso modo se invece di essere dotati di braccia e gambe, una parte anteriore e una posteriore, una alta e una bassa, fossimo delle enormi sfere.
«La cognizione incarnata ha come punto di partenza un corpo e solo quello, con una mente per farlo funzionare. E se si perde un pezzo le cose si complicano, non solo dal punto di vista neurologico, ma addirittura ontologico» – conclude il professor Giorgio Sandrini neurologo passato dall’Università di Pavia alla World Federation For Neurorehabilitation  (Wfnr) dove è copresidente del gruppo di etica e neurofilosofia – «In questi tempi di intelligenza artificiale e tecnologia che invadono sempre più prepotentemente anche le neuroscienze, la filosofia si pone come baluardo di comportamento con la nascita di nuove discipline come neurofilosofia e neuroetica. Ovviamente nel rispetto delle specifiche competenze e, in particolare, delle evidenze scientifiche basate su ricerche, analisi e teorie provate dalle evidenze». 

15 settembre 2025

15 settembre 2025

Fonte Originale