
Tata Motors in una lettera rassicura l’indotto di Iveco: «Non chiuderemo stabilimenti, garantiremo l’occupazione e le commesse con i fornitori». Ma le aziende della filiera tremano, perché da quasi un anno erano in trattativa con l’azienda per farsi riconoscere prezzi «adeguati» all’aumento dei costi energetici, dell’inflazione e alla crisi di mercato. «Iveco è il nostro primo cliente, vale oltre 40 milioni in portafoglio di commesse per sistemi di scarico, serbatoi in plastica e filtri aria — spiega Pier Mario Cornaglia, presidente del gruppo Cornaglia —. Oltre alle formule di rito, dagli indiani mi aspetto un rilancio delle attività. Altrimenti rischia di andare a rotoli tutta una filiera automotive».
L’acquisizione
L’opa da 3,8 miliardi con cui Tata acquisisce la divisione veicoli commerciali e Tir di Iveco (la parte militare andrà a Leonardo), include anche Ftp Industrial, i motori che vengono prodotti a Foggia e a Torino, dove sono impiegati 6 mila dipendenti. «In linea di massima sono contrario alla cessione di asset strategici a multinazionali estere — continua l’imprenditore torinese — soprattutto quando le aziende vendute possiedono tecnologia e know how, come è il caso dei motori di Iveco. Basta una crisi per arrivare a delocalizzazioni selvagge, l’abbiamo già visto con la filiera dell’elettrodomestico e con l’auto».
Le aziende che lavorano con Iveco
Il gruppo Cornaglia opera da tempo in India attraverso una joint venture. E collabora già con Tata Motors fornendo serbatoi in plastica. Le nozze con Iveco cambiano completamente la prospettiva. «In una lettera ci hanno confermato che gli accordi in essere sono garantiti. Ma non basta, noi stavamo discutendo aumenti per le commesse. Ci auguriamo che Tata possa investire più di Exor nella filiera».
La preoccupazione per il futuro dell’indotto e anche per la tecnologia dedicata ai motori è espresso anche da Alberto Russo, titolare di Leva Spa di Grugliasco, componenti tessili per auto, e a capo del gruppo automotive di Api Torino. «La filiera è in forte sofferenza a causa della crisi nera dell’auto — lamenta Russo — Auspico che la nuova proprietà possa iniettare capitale e fare investimenti, in un’operazione simile a quella fatto da cinesi con Volvo. E spero che Tata non si militi a comprare solo la rete commerciale e la nostra tecnologia ma possa impegnarsi in nuove alimentazioni, come i Tir a idrogeno».
Le mosse del governo italiano
Il ministro del Mimit Adolfo Urso ha convocato anche Tata Motors dopo l’operazione affermando che «il governo vigilerà con attenzione sul percorso delineato affinché gli obiettivi siano pienamente raggiunti». E quindi preservare la presenza industriale e le comunità di dipendenti. «Gli impegni assunti da Tata Motors possono rassicurarci solo in parte, soprattutto in una logica di lungo periodo. Per questo chiediamo al governo di aiutarci a difendere questa prestigiosa azienda italiana che pare oramai destinata a passare in mani straniere», ha detto Gianluca Ficco, segretario nazionale Uilm.
Il nuovo gruppo
La preoccupazione va appunto all’indotto, alle migliaia di imprese fornitrici di Iveco. «Noi fornitori siamo le fabbriche della fabbrica. Se la grande aziende si inceppa, tutti noi chiudiamo i battenti», afferma Pier Mario Cornaglia. Se andrà in porto l’operazione, con il closing previsto per il 2026, L’azienda indiana andrebbe a formare con Iveco un nuovo gruppo con ricavi aggregati di circa 22 miliardi di euro e vendite annue di circa 540.000 veicoli, ripartiti tra Europa per il 50%, India per il 35% e Americhe per il 15%. Per Alberto Russo se «il cuore dell’azienda resta in Italia questa aggregazione potrebbe essere anche un’opportunità».
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4 agosto 2025
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