Il governo svizzero ha stigmatizzato la decisione di Donald Trump di imporre un dazio del 39% sul Paese, un’aliquota elevata che ha fatto crollare il franco svizzero venerdì e ha lasciato il governo elvetico «sotto choc». «Non è chiaro cosa gli Stati Uniti vogliano da noi», ha affermato un parlamentare svizzero al Financial Times che ha ricostruito il momento di incertezza che sta vivendo la Confederazione. La nuova aliquota della Svizzera è persino superiore al 31% indicato dal presidente degli Stati Uniti in occasione del «giorno della liberazione» di aprile. Di fatto Trump ha trattato la Confederazione Elvetica come uno «Stato canaglia», applicandole le tariffe più alte d’Europa, superiori anche a quelle inflitte alla Serbia (35%) e3 assai più salate del 15% riservato alle merci Ue.
La festa nazionale rovinata
Le notizie arrivate da Washington nella notte hanno rovinato agli svizzeri la festa nazionale (oggi, come ogni primo agosto, si celebra la nascita della Confederazione) e sono state precedute da giorni frenetici, con punte grottesche. La presidente elvetica Karin Keller Sutter ha più volte provato a contattare la Casa Bianca per intavolare una trattativa ma secondo quanto raccontano i media locali sarebbe state sempre «rimbalzata». L’obiettivo era di «allineare» Berna alle altre capitali europee e strappare così un patteggiamento al 15%.
Calcoli sballati e nessuna trattativa
Conclusione: i dazi del 39% non sono stati preceduti da alcun tipo di dialogo tra Washington e Berna e secondo il mondo imprenditoriale, finanziario e politico non sono supportati da alcun tipo di argomento. In corrispondenza del «Liberation day» Trump aveva accusato la Svizzera di aver innalzato barriere del 62% nei confronti delle merci americane, un dato davanti al quale gli svizzeri sono trasecolati: il made in Usa ha una libertà di accesso al mercato elvetico se possibile ancor più facile rispetto al resto della Ue.
Il crollo del franco svizzero
Venerdì 1 agosto il franco svizzero è una delle valute del G10 con la performance più debole, in calo dello 0,4% rispetto al dollaro, attestandosi a 0,816 franchi svizzeri. Nonostante ciò, la moneta resta oltre l’8% più forte rispetto ai livelli di aprile. L’esito del negoziato con l’amministrazione Usa ha sorpreso un po’ tutti dopo l’ottimismo iniziale di Berna. «La Svizzera è stata e rimane in contatto con le autorità statunitensi competenti. Continua a cercare una soluzione negoziata con gli Stati Uniti, in conformità con il diritto svizzero e i suoi obblighi derivanti dal diritto internazionale», ha affermato il governo, aggiungendo che analizzerà la nuova situazione e deciderà i prossimi passi cercando di dispensare trannquillità.
Il surplus commerciale
Il nuovo dazio colloca la Svizzera tra i Paesi più penalizzati al mondo insieme a Siria, Myanmar, Laos e Brasile. Secondo Simon J. Evenett, docente all’Imd Business School di Losanna, la causa principale sarebbe «l’impennata del surplus commerciale svizzero con gli Stati Uniti nel 2024». Il disavanzo Usa ha raggiunto i 38 miliardi di dollari l’anno scorso, una cifra che ha spinto Trump a reagire con forza. A questo va aggiunta l’avversione maturata dal tycoon nei confronti dell’industria farmaceutica, che in Svizzera ha il suo territorio di elezione (Novartis e Roche hanno sede a Basilea).
Farmaci, orologi e oro tra le voci di export
Nel 2023, la Svizzera ha esportato beni per 60,9 miliardi di dollari negli
Stati Uniti. Le principali voci sono stati prodotti farmaceutici, dispositivi medici, orologi, caffè e oro, che da solo ha rappresentato 11,5 miliardi. Il colpo più duro ricade sull’industria farmaceutica, che rappresenta circa la
metà delle esportazioni verso il mercato americano. Novartis e Roche – che quest’anno hanno annunciato miliardi di investimenti nel mercato statunitense – rischiano una doppia penalizzazione: oltre ai dazi, hanno ricevuto lettere dall’amministrazione Trump che chiedono tagli ai prezzi dei farmaci, allineandoli a quelli praticati in altri Paesi.
Le associazioni in allarme
Anche le organizzazioni industriali suonano l’allarme. Swissmechanic definisce il 39% «una misura pericolosa» e chiede di sfruttare la finestra negoziale aperta fino al 7 agosto. Swissmem, che rappresenta il settore manifatturiero, sottolinea che la Svizzera «vive delle sue esportazioni». Il direttore Stefan Brupbacher ha definito questi dazi «completamente irrazionali e arbitrari». Ora Berna ha pochi giorni per tentare di rinegoziare un’intesa ed evitare l’entrata in vigore dei dazi il 7 agosto.
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1 agosto 2025 ( modifica il 1 agosto 2025 | 16:39)
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