
Non è un caso se di tutti gli eroi che dai fumetti sono atterrati al cinema, «Superman» fosse uno di quelli che si vedevano meno frequentemente: tra i primi ad arrivare sugli schermi, nel 1948, con Kirk Alyn nella parte del supereroe, ha dato origine ad altri sei film più un reboot (nel 2013), ma se dobbiamo misurare il peso che ha lasciato nell’universo cinematografico dei supereroi, dobbiamo ammettere che non è certo nei primissimi posti della classifica. La ragione è abbastanza semplice: Superman è un eroe che concede poche varianti. I suoi poteri sono talmente smisurati, la sua forza così esagerata che sembra impossibile inventare per lui una qualche storia interessante: Superman vinceva sempre.
Ma per contrastare lo strapotere commerciale dei supereroi Marvel, la Warner ha deciso di giocare ancora una volta la carta Superman, affidando la sua nuova divisione, i DC Studios, al regista James Gunn. Una scelta, quella di Gunn (che aveva portato al successo i film dedicati ai Guardiani della galassia) che faceva intuire la direzione in cui si sarebbero mossi: quella di una fantascienza che scivolava verso la commedia, che sapeva sdrammatizzare le situazioni con un tocco – e anche di più – di ironia e autoironia. E così è anche per questo «Superman», affidato al volto nuovo di David Coreswet.
Ce lo fa capire dalla primissima scena, dove lo vediamo cadere fragorosamente sul pack, dopo aver perso, come ci dice una didascalia, il primo combattimento della sua vita. E dove a portarlo in salvo arriva addirittura il suo cane, Krypto. Eravamo abituati a vederlo in ben altra forma: qui è ammaccato e ferito (ma non era praticamente invulnerabile?) e il riposo che si concede nella sua casa tra i ghiacci non serve certo a rimetterlo davvero in forma: un misterioso Uomo Martello lo strapazza senza ritegno e anche quando deve vedersela con un gigantesco mostro sputafuoco deve chiedere aiuto a Lanterna Verde, Mr. Terrific e Hawkgirl.
Ma le sorprese non sono certo finite qui, perché l’arcinemico Lex Luthor (Nicholas Hoult) che naturalmente ha spedito contro Superman avversari così temibili, riesce addirittura ad entrare nella fortezza polare e hackerare, con l’aiuto di una misteriosa «ingegnere» (Maria Gabriela de Faría) il messaggio che Jor-El aveva affidato al figlio quando l’aveva spedito sulla Terra. Un messaggio che Superman aveva sempre considerato un invito alla pace e all’aiuto dell’umanità e che invece nascondeva altre indicazioni, molto meno lusinghiere. E che Luthor si affretta a divulgare a tutto il mondo, rovinando l’immagine di paladino del bene del nostro supereroe ma ottenendo anche dal governo il via libera per imprigionarlo.
Diretto e scritto da James Gunn, il film mescola così piani molto differenti: a quello che ribalta la missione di solidarietà e di aiuto con cui eravamo abituati a identificare Superman (e la sua originaria figura «cristologica»), si aggiunge uno scenario fantapolitico, con lo stato della Boravia che vuole invadere quello confinante di Jarhnapur (se ricordo bene il nome) grazie alle armi fornite da Luthor e dietro cui ci si può sbizzarrire a leggere allusioni al presente, visto che il dittatore della Boravia, Ghurkos (Zlato Buric), parla una lingua che ha troppe evidenti assonanze con il russo.
Ma tutto questo basta a rendere interessante questa nuovo «Superman»? Soffocato dentro il solito sfoggio di super-effetti, con la crosta terrestre che si spacca in due distruggendo le città, e un universo parallelo dove Luthor imprigiona i suoi nemici, il film finisce per perdersi dentro la sua voglia di novità, inventandosi anche un clone di Superman per mettere in discussione la sua imbattibilità, e dopo più di due ore di scontri e battaglie ti chiedi se sentivamo davvero il bisogno di un eroe così poco eroico. Lasciatecelo dubitare.
8 luglio 2025 ( modifica il 8 luglio 2025 | 21:56)
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