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Supercomputer, l’Italia (a sorpresa) è nel G4. Parte la sfida a Germania e Giappone

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L’Italia è entrata per la prima volta nel «G4 dei supercomputer». Al primo posto rimane una solidissima America che fin dai primi passi nel settore durante il progetto Manhattan, con il padre stesso dell’architettura dei computer John von Neumann, ha investito costantemente in queste infrastrutture che già prima servivano per la ricerca scientifica e per la prototipazione industriale ma che ora sono ancora più strategiche per l’addestramento delle intelligenze artificiali. Gli Stati Uniti con i propri 175 supercomputer hanno una capacità computazione di «picco» di 10,6 miliardi di GigaFlops (il flops sta per operazioni con virgola mobile al secondo). Dunque possiamo parlare di 10 miliardi di miliardi di operazioni al secondo. Seguono il Giappone e la Germania, non a caso potenze industriali.
Il supercomputing è da tempo una strada primaria per fare ricerca: sempre negli Usa uno dei progetti più all’avanguardia è quello che prevede la possibilità di riprodurre artificialmente una esplosione nucleare che possa permettere di raccogliere gli stessi dati di una esplosione vera in stile atollo (tra il 1966 e il 1996 la Francia ha effettuato corca 200 esperimenti nucleari nella Polinesia francese). Ma oggi si parla di riadattare l’intera industria all’AI: i tempi di ricerca di nuove molecole per scopi terapeutici si stanno riducendo di un quinto grazie a queste capacità computazionali. La sorpresa, ma solo per chi non compulsa le classifiche di top500.org, è che grazie ai molti progetti sia pubblici che privati, come quelli Eni, Leonardo e anche IIT, l’Italia ha superato 1,1 miliardi di miliardi di operazione con virgola mobile al secondo: siamo una delle 4 «Exa Nation». Germania (1,5 miliardi di Gigaflops) e Giappone (1,6) non sono così distanti.

L’AI FActory 

Anche perché proprio in queste settimane è entrata nel vivo la gara per un nuovo progetto AI Factory che potrà contare su un investimento totale di circa 430 milioni, con il contributo paritario del governo italiano e della Commissione Ue come già era avvenuto per il supercomputer Leonardo. Il cofinanziamento nazionale è sostenuto dal ministero dell’Università e della Ricerca, l’Agenzia per la Cybersecurezza Nazionale (ACN), la regione Emilia Romagna, il Consorzio Cineca, l’Infn, l’Agenzia ItaliaMeteo, la Fondazione per l’IA e la Fondazione Bruno Kessler. Cineca, in consorzio con Austria e Slovenia, sarà l’hosting entity. La lista dei soggetti che ruotano intorno al progetto svela anche le attese: i supercomputer sono fondamentali per fare previsioni su clima e meteo, oltre che per la fisica e il trasferimento tecnologico.
A conti fatti, andandolo a sommare agli investimenti già conclusi, avremo concentrato intorno al Cineca presieduto da Francesco Ubertini, circa un miliardo. L’Ai Factory, rispetto a Leonardo, sarà finalizzata a portare anche le parcellizzate Pmi verso la nuova visione AI-centrica. A regime, ma dipenderà anche dai progetti degli altri Paesi, potremmo giocarci la terza posizione con la Germania. La classifica, soprattutto quella dei supercomputer più potenti, è in continuo movimento.

Per capire origine della classifica ma anche sfide da affrontare, come quella energetica, è utile ripercorrere qualche cenno storico: nel 1942 uno strano caso si verificò nel Tennessee, in mezzo al nulla. Niente era segnato sulle mappe dell’epoca. Non una città, né un Paese. Eppure a centinaia di chilometri a est dalla città più grande, Nashville, si consumava ogni giorno più energia di quanto ne richiedesse New York. La cosa curiosa è che anche oggi che quel posto ha un nome, Oak Ridge, vengono raggiunti dei picchi di consumo che se non possono competere con la Grande Mela non sono nemmeno lontanamente giustificabili con i 29.330 abitanti censiti. Oak Ridge fu la sorella gemella minore di Los Alamos, la città costruita in mezzo al deserto nel Nuovo Messico da Robert Oppenheimer. Qui lavorava Enrico Fermi. Il picco energetico degli anni che precedettero il 1945 era causato dalla produzione di uranio arricchito. Ma non è fortunatamente questa l’eredità di cui può andare fiera Oak Ridge, oggi.

Il ruolo di Enrico Fermi

Fermi fu difatti uno dei primissimi scienziati a comprendere che i computer avrebbero contribuito enormemente al progresso della scienza. Lo sappiamo perché lui stesso si scrisse i primissimi programmi, a mano, che vengono conservati negli archivi dell’Università di Chicago. Nulla più di semplici algoritmi per fornire dei comandi ai computer dell’epoca. Ma c’è un’altra prova della comprensione piena da parte del premio Nobel italiano della relazione tra informatica e scienza: il viaggio di Fermi in Italia per convincere il nostro Paese a costruire un supercomputer e che ebbe come risultato l’operazione pisana. Un’altra traccia si trova nel libro di Pier Giorgio Perotto, l’ingegnere della Olivetti, sulla P101. Perotto scrive difatti che Fermi incontrò anche Adriano Olivetti per parlargli dello stesso argomento.
In ogni caso il progetto Manhattan fu uno dei primi campi da gioco dell’Eniac, un computer che era stato voluto dalle forze armate Usa fin dal 1942 per cercare di gestire meglio le truppe durante il conflitto. L’Eniac venne completato solo nel 1946 ma nel frattempo ricevette le attenzioni di una delle menti più brillanti del progetto di Los Alamos: von Neumann (da leggere il libro L’uomo venuto dal futuro. La vita visionaria di John von Neumann). Lo stesso von Neumann usò l’Eniac per ottenere delle previsioni meteorologiche (fondamentali per valutare l’effetto del lancio delle bombe, fu difatti lo stesso von Neumann a fare i calcoli per Little Boy). Si tratta di un particolare importante perché da quel piccolo test sul meteo sappiamo che l’Eniac poteva svolgere 250 mila operazioni con virgola mobile, ma attenzione: in 24 ore. Sono dunque 2,9 operazioni al secondo. Tanto per avere un riferimento di cosa stiamo costruendo oggi.

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16 ottobre 2025 ( modifica il 16 ottobre 2025 | 17:34)

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