
«Sui Tomahawk all’Ucraina, Donald Trump sta bluffando», dice al Corriere Dmitrij Suslov, vicedirettore del Centro di studi europei e internazionali presso la Scuola Superiore di Economia e ascoltato consigliere del Cremlino per la politica estera.
Cioè, secondo lei, Trump non ha alcuna intenzione concreta di dare i Tomahawk all’Ucraina?
«È difficile per Mosca assumere che gli USA forniscano missili da crociera basati a terra, perché di questo di tratta nel caso dell’Ucraina, che non ha navi o sottomarini adatti. Fino a oggi, infatti non li hanno mai forniti a nessun Paese europeo alleato. Solo l’anno prossimo, secondo una decisione presa dall’amministrazione Biden, i Tomahawk dovrebbero essere consegnati alla Germania».
Ma se poi li consegna?
«Sono missili a medio raggio e significherebbe una sostanziale escalation, tanto più che non possono essere usati senza la presenza di personale militare americano sul campo: il loro impiego implicherebbe quindi il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto contro la Russia. Il che contraddice tutte le dichiarazioni di Trump sulla de-escalation e le sue diverse priorità. Per questo consideriamo questa come una campagna di pressione, che non potrà funzionare. La Russia ha piena fiducia nella sua capacità di prevalere e conseguire i suoi obiettivi in Ucraina».
Quindi se Trump fornisse i missili, sarebbe per la Russia un game changer?
«Sì sul piano politico, no su quello militare. Voglio dire che i Tomahawk non cambierebbero la correlazione delle forze sul terreno, non sono l’arma magica che rovescia le sorti del conflitto. Ma politicamente, sarà la fine irreversibile di ogni dialogo con l’Amministrazione Trump sul tema Ucraina. Ogni canale verrà chiuso, anche sul piano personale tra i due leader».
Nel caso di un loro impiego, la Russia risponderebbe colpendo territori della Nato?
«Dipenderà dal danno e dal fatto che colpiscano obiettivi strategici in territorio russo. Se così fosse, non ci sarebbe dubbio che colpiremmo obiettivi militari dentro i Paesi Nato. Ci sarebbe un’escalation orizzontale della guerra».
Cos’è successo dopo il vertice in Alaska? Trump dice che Putin lo ha deluso.
«La delusione è reciproca. L’impulso positivo alle nostre relazioni dato dal summit estivo si è esaurito. Il problema è semplice: nella percezione della Russia c’era stata una intesa tra Putin e Trump sui parametri principali di un accordo finale e toccava al presidente americano presentarla agli europei, per far sì che insieme all’Ucraina ne accettassero la sostanza. Ma europei e ucraini lo hanno respinto. Non solo. Kiev con l’appoggio degli Stati Uniti ha indurito la sua posizione, senza che Trump facesse nulla per costringerla ad accettare l’intesa di Anchorage, anzi aumentando la pressione sulla Russia. La retorica sulla delusione verso Putin e il discorso sui Tomahawk sono parte di una campagna, più come minaccia per cercare di mettere Mosca nell’angolo e costringerla a cambiare posizione sui termini del piano di pace, che come prospettiva concreta».
La guerra ibrida degli ultimi mesi contro l’Europa – droni, sconfinamenti aerei, attacchi cibernetici – porta la firma russa secondo tutti i Paesi che ne sono stati oggetto, anche se Putin nega. Che scopo ha?
«È veramente difficile dire da dove vengano gli attacchi. Cito il caso della Danimarca, dove hanno arrestato alcuni hacker e il legame con la Russia non è stato provato. Forse dovremmo chiederci chi beneficia da tutto questo? Dalla prospettiva russa, serve a fomentare l’escalation che gli europei vogliono per convincere l’Amministrazione USA a cambiare atteggiamento e sostenere di più l’Ucraina. La Russia non ha alcun interesse a un’escalation, non ultimo perché sta vincendo».
È più probabile invece che Mosca stia testando le capacità di reazione della Nato e vuole seminare panico in Europa.
«È un fatto che questi episodi dimostrano l’impreparazione dell’Europa a qualsiasi tipo di confronto militare diretto con la Russia. Gli europei si dividono e discutono se siano o meno in guerra con Mosca. Ma l’unica cosa certa è che non sono pronti a una vera guerra».
Ma così lei ammette indirettamente che state mettendo alla prova l’Europa?
«Putin lo ha negato. Ma ho anche detto prima che l’interesse maggiore a un’escalation lo hanno l’Ucraina e i Paesi europei, specie quelli del fronte orientale».
Quanto male stanno facendo allo sforzo militare russo le azioni dell’Ucraina contro le infrastrutture energetiche e le fabbriche di armi?
«Fanno gravi danni, sicuramente. Ma siamo dentro una guerra di attrito. Ogni danno reciproco è relativo e i danni che la Russia causa all’Ucraina sono infinitamente più gravi e devastanti».
Avanzate lentamente, qualcuno calcola che a questo ritmo occorrerebbero cento anni ai russi per conquistare tutta l’Ucraina. Se state vincendo come dite, perché non riuscite a sfondare?
«L’introduzione dei droni ha cambiato fondamentalmente la dinamica e le tattiche della guerra. Di recente Valery Zaluzhny, l’ex capo delle forze di Kiev, ha scritto un articolo sostenendo proprio questa tesi. Tutto è visibile adesso, a causa dei droni. Non è più possibile avanzare rapidamente, perché ogni cosa visibile si può distruggere immediatamente. Quindi nessuna concentrazione massiccia di truppe, ma avanzate circoscritte affidate a piccole avanguardie di soldati».
Ma così l’Ucraina potrebbe tenervi in scacco per sempre
«No. Perché mentre le forze russe avanzano sia pur lentamente, eliminano molti soldati ucraini. E questo in una guerra di attrito è più importante della conquista di nuovo territorio, lo ammette anche Zaluzhny. Anche i russi muoiono certo, ma per Kievi il costo umano è un fatto debilitante, perché la scarsa disponibilità di truppe è il suo vero fianco debole. Il vantaggio russo in termini di droni e artiglierie è diventato enorme. L’Ucraina continuerà a resistere per un certo periodo di tempo, non possiamo prevedere quanto. Ma la sua sconfitta è inevitabile».
C’è ancora qualche chance per un cessate il fuoco o un accordo di pace?
«Sì, se Trump cambia opinione e torna a far pressione sugli ucraini e sugli europei, invece che sulla Russia. L’accordo per noi rimane quello dell’Alaska. Altrimenti la guerra continuerà fino a quando Trump cambierà idea. E allora forse ci sarà un’altra opportunità per la pace».
16 ottobre 2025
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