
Vacanza. Una parola che deriva dal latino vacuum, vuoto: stare in vacanza significa essere liberi, non aver nulla da fare, annoiarsi.
Allora forse non è un caso che al posto delle classiche ferie d’agosto di qualche decennio fa, in cui un anno dopo l’altro sbadigliavamo sulla stessa spiaggia e sotto lo stesso ombrellone, oggi cerchiamo il viaggio anziché la vacanza: sempre attivi, alla scoperta, con la paura di rallentare e perderci qualcosa, viviamo nel timore della noia.
E se ci stessimo sbagliando? Il grande romanziere russo Lev Tolstoj diceva che la noia è «un desiderio di desideri» e potrebbe bastare questo per rivalutarla e lasciarle un po’ di spazio nelle nostre vite convulse.
Tuttavia, anche la scienza sottolinea che si tratta di un’emozione con implicazioni non sempre negative come potremmo credere, perché la noia «libera» il cervello e lo aiuta a essere più creativo, può essere un antidoto ai dispositivi elettronici e alla dipendenza da schermi e notifiche, può abituarci a tornare in contatto con noi stessi, favorendo l’introspezione da cui molti rifuggono ma che può essere la chiave per un vero benessere. Certo, la noia va saputa dosare: deve essere una pausa in una vita attiva, non può diventare la compagna delle giornate in ufficio o «spegnerci», altrimenti rischia non solo di minacciare la produttività, ma anche di far male alla salute.
Un esempio? Di recente un gruppo di ricercatori della Aston University, in Inghilterra, hanno dimostrato che, quando sono annoiati, i bambini di appena quattro anni mangiano di più, anche se sono sazi, e così rischiano di aumentare di peso.
Iper-connessi (e attivi)
Stando ai dati diffusi durante l’ultima Giornata della Disconnessione, la scorsa primavera, controlliamo le notifiche sullo smartphone anche fino a 80 volte all’ora, smettendo solo a tarda sera quando finalmente ci addormentiamo: il 28% riceve gli ultimi messaggi alle 23.26, almeno un’ora dopo il momento in cui sarebbe raccomandabile staccarsi dallo schermo per favorire un buon sonno. Non vogliamo perderci nulla, ma poi finiamo per sentirci sopraffatti dalla quantità di informazioni che riceviamo ogni giorno: succede al 41% degli italiani, secondo dati del Digital News Report Italia.
Uno scenario di iper-connessione che sembra aver scacciato la noia dalle nostre vite: anche se paradossalmente a volte siamo più annoiati proprio perché connessi, è un fatto che la maggioranza cerchi di sfuggire in ogni modo alle pause, al silenzio, al vuoto.
Perché fa bene ritrovare il «tempo vuoto»
Dobbiamo essere sempre «accesi» e performanti ma ritrovare il tempo vuoto della vacanza, magari un po’ tutti i giorni, ci farebbe bene.
Il motivo lo hanno spiegato di recente i neurobiologi Michelle Kennedy e Daniel Hermens della Sunshine Coast University nel Queensland, in Australia: «La stimolazione costante a cui siamo sottoposti comporta un prezzo da pagare, perché provoca una iper-attivazione del sistema nervoso simpatico, quello che si accende in situazioni di stress quando dobbiamo decidere se fuggire o lottare. Se siamo sempre sotto pressione nel gestire informazioni e nuove attività, a causa dell’effetto cumulativo dovuto all’esposizione a ripetuti elementi di stress, il sistema simpatico resta attivo troppo e troppo a lungo: si chiama «sovraccarico allostatico» e porta a uno stato di allerta continuo che può arrivare fino allo sviluppo di ansia. La noia è il modo per mettere in pausa il sistema simpatico e far riposare il cervello dai troppi stimoli». Quando facciamo qualcosa, per esempio iniziamo a guardare un film, il cervello si mette in modalità attenzione concentrata: elimina ciò che potrebbe distrarlo, si focalizza su quel che vede o fa e così consuma energie.
Se però la pellicola non ci coinvolge subentra la noia: il sistema cerebrale dell’attenzione pian piano si «spegne» e si accende invece il «default mode network», una rete distribuita in varie zone del cervello che si attiva a riposo e serve anche per recuperare energie cerebrali dopo un’intensa attività cognitiva. Secondo Kennedy e Hermens, «attivare il default mode network quando ci si annoia potrebbe essere una strategia per gestirla rivolgendo i pensieri all’interno, a se stessi».
«Dosare» la noia
«In questa modalità entrano in gioco anche aree cerebrali importanti come l’insula, che serve per elaborare le emozioni, e l’amigdala, il sistema di allarme interno che aiuta anche nella formazione dei ricordi con una componente emotiva: quando siamo annoiati l’amigdala elabora le emozioni negative e “motiva” a trovare qualcosa di alternativo su cui focalizzare l’attività cognitiva».
Permetterci occasionalmente la noia è positivo non solo perché rompe il circolo vizioso dell’iper-stimolazione da parte dei dispositivi elettronici, che offrono gratificazione immediata favorendone un uso compulsivo e quindi la dipendenza; la noia aiuta pure a «riequilibrare l’attività cerebrale, riducendo gli input sensoriali e l’ansia; migliorare la creatività consentendo ai pensieri di scorrere più liberamente creando associazioni di idee; sviluppare una maggiore indipendenza di pensiero, perché spinge a cercare interessi diversi da quelli proposti continuamente dall’esterno; aumentare l’autostima e l’equilibrio emotivo, perché un tempo per sé, non strutturato da impegni o pressioni, aiuta la riflessione e la gestione delle emozioni», dicono i due neuroscienziati.
Tutto però sta nel «dosare» la noia in modo che sia un momento in cui fermarsi e di cui godere, non il sottofondo continuo delle giornate: nel secondo caso prevalgono gli effetti negativi.
Apatia e depressione
Se il cervello vive costantemente nel default mode network si rischia di scivolare nell’apatia e perfino nella depressione; il tedio costante è anche associato a una maggiore probabilità di fare uso di sostanze, come alcol o droghe, per tornare a provare il piacere e la gratificazione che non si è più capaci di sentire in altro modo.
Se la monotonia accompagna le ore di lavoro, può fare male alla salute: una ricerca del Finnish Institute of Occupational Health ha dimostrato che troppi sbadigli alla scrivania sono pericolosi come lo stress o il burnout lavorativo, quando ci si sente del tutto esauriti, perché si associano ad alterazioni della frequenza cardiaca durante la notte che sarebbero indicative di un maggior rischio di sviluppare problemi cardiovascolari.
Ma è tutta questione di «dose»: secondo uno studio pubblicato su Journal of Applied Psychology, un po’ di noia in ufficio può essere positiva, se compiti ripetitivi vengono alternati ad attività interessanti.
«La noia è più comune sul lavoro che altrove, tutti la provano, perfino gli astronauti: in media ci annoiamo sul lavoro oltre dieci ore a settimana», spiega l’autore, Casher Belinda del Mendoza College of Business. «Paradossalmente cercare di soffocarla però ne prolunga gli effetti perché riduce attenzione e produttività, “ascoltarla” e viverla invece è positivo, cogliendola come modo per recuperare le energie e affrontare meglio il compito successivo».
Perché non riusciamo a restare con le mani in mano
La noia non ci piace: del resto abbiamo «inventato» gli hobby anche per sfuggirle. Lo stato mentale in cui finiamo per lasciar correre i pensieri ci fa sentire a disagio, a giudicare da un esperimento di ormai una decina di anni fa che tuttora fa riflettere. Timothy Wilson, psicologo dell’Università della Virginia, lasciò un gruppo di volontari soli con i loro pensieri per 15 minuti, senza cellulari o qualsiasi altro elemento di svago. Metà di loro ammise di essersi annoiato; Wilson allora ripeté il test, lasciando a disposizione dei partecipanti uno strumento con cui volendo potevano darsi una piccola scossa elettrica.
Ebbene, il 67% degli uomini e il 25% delle donne decise di farlo, pur di avere un diversivo. Wilson non se lo aspettava: «Abbiamo un cervello grande e pieno di ricordi belli, sappiamo creare storie e fantasie: credevo che lasciare alle persone tempo libero per riflettere fosse vissuto come un’esperienza positiva», ha detto lo psicologo. «Invece, è come se il nostro cervello fosse fatto apposta per relazionarsi al mondo: quando non ha nulla su cui focalizzarsi può trovare difficile sapere che cosa fare».
Chi ha un carattere accomodante o molto collaborativo ha reagito meglio all’esperimento, così come chi è abituato a far vagare i pensieri; considerando che farsi del male piuttosto che annoiarsi non è un bel risultato, lo psicologo raccomandava a tutti di provare a esercitarsi nella meditazione, a ritrovare ogni giorno piccoli spazi di riflessione per imparare a stare con se stessi. Tutto infatti sta nel saper reagire «bene» a un po’ di noia, senza per esempio sentirsi in colpa perché non si fa niente e cercando di dirigere i pensieri verso qualcosa di positivo.
Lo ha confermato uno studio della Washington State University: siamo più portati a non soffrire degli effetti negativi della noia se nel cervello si accende la corteccia frontale sinistra, che si attiva quando controlliamo gli impulsi, pianifichiamo azioni, proviamo emozioni positive.
«Scrollare» i video passivamente sui social accresce l’ansia
Volete annoiarvi? Scegliete la cosiddetta slow tv norvegese: il 27 novembre 2009 la trasmissione del viaggio lungo sette ore di un treno fra Oslo e Bergen, senza montaggio e senza tagli, fu una sfida al tedio non da poco da parte della Norwegian Broadcasting Corporation, che poi ha replicato a giugno 2011 seguendo in diretta per 134 ore la traversata di una nave postale da Bergen a Kirkenes. Questi «film» si trovano online e a vederli di certo non viene l’ansia, come invece può capitare a chi «scrolla» i video dei social per troppo tempo. Farlo non solo non combatte la noia, può far pure aumentare la frustrazione e l’ansia, oltre a rendere più aggressivi e impulsivi: lo dimostra una recente ricerca canadese su poco meno di 600 adolescenti, sottolineando come questa abitudine porti a perdere il senso del tempo e a trascorrere ore davanti allo schermo, con ulteriori effetti negativi sul benessere mentale.
Fra gli adolescenti ne soffrono di più le ragazzine
Gli effetti e l’entità della noia cambiano a seconda delle età e dei contesti. Anche fra gli adolescenti è un sentimento parecchio diffuso: lo ha sottolineato uno studio della Washington State University che ne ha indagata la frequenza in ragazzi e ragazze dai 14 ai 16 anni a partire dal 2008. Sarebbero le ragazzine a essere più annoiate e prima rispetto ai maschi, ma i motivi restano sfuggenti: secondo gli autori può dipendere dal parallelo aumento dell’uso di social e internet negli ultimi anni, dalla sempre maggiore diffusione dei disturbi dell’umore nei giovanissimi, oppure semplicemente dall’età. «Forse gli adolescenti sono annoiati perché non sono soddisfatti di come passano il tempo: vorrebbero più indipendenza ma non hanno ancora abbastanza autonomia, questo facilita la comparsa della noia e anche una maggiore difficoltà a gestirla», conclude l’autrice, Elizabeth Weybright.
19 luglio 2025
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