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Stipendi dei colleghi, si potrà sapere quello del vicino di scrivania o solo la media dei pari grado? Le regole

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A partire dal 7 giugno 2026 il panorama lavorativo europeo, e dunque italiano, è destinato a cambiare. La Direttiva UE 2023/970, quella sulla trasparenza salariale, segna la fine del «segreto salariale» e pone le basi per una maggiore equità retributiva (a beneficiarne, almeno sulla carta, saranno soprattutto donne e giovani). Questa normativa, già varata ma ancora non recepita dall’Italia, che ha appunto ancora un anno di tempo per adeguarsi, obbligherà le aziende a fornire informazioni chiare sulle retribuzioni, consentendo ai lavoratori di conoscere gli stipendi medi dei colleghi (non le buste paga dei singoli!) con mansioni equivalenti e suddivisi per genere. 

La ricaduta positiva sulle aziende

La direttiva rappresenta un passo fondamentale nella lotta contro il divario retributivo tra uomini e donne, ma oltre a favorire la parità di genere, la trasparenza salariale porta con sé una serie di vantaggi anche per le stesse aziende. Secondo uno studio condotto dalla Harvard Business Review, le aziende che adottano politiche di retribuzione trasparenti tendono a registrare un aumento del morale dei dipendenti e una maggiore fiducia nelle pratiche aziendali. La trasparenza contribuisce inoltre a ridurre il turnover e a migliorare la soddisfazione sul posto di lavoro, poiché i dipendenti si sentono più sicuri e apprezzati quando vedono che la retribuzione è equa e giustificata.

L’«opacità salariale»

Ma cosa causa il divario retributivo tra dipendenti che svolgono le stesse mansioni? Le ragioni sono spesso culturali e di vantaggio economico (un esempio? I cosiddetti «contratti pirata», contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti da organizzazioni sindacali poco rappresentative e da associazioni datoriali, che offrono condizioni economiche e normative inferiori rispetto ai contratti collettivi nazionali sottoscritti dalle principali sigle sindacali, consentono a un’azienda di applicare regimi retributivi anche molto diversi tra i propri dipendenti, in un’ottica di risparmio del costo del lavoro, tutto a discapito del lavoratore. Ecco che l’«opacità salariale», ovvero il non sapere tra colleghi lo stipendio che viene riconosciuto a ciascuno pur svolgendo la stessa mansione, può consentire a un’azienda di fare discriminazioni salariali tra uomo e donna ma anche tra giovani e meno giovani. 

Stop al divieto di parlare della propria paga

Le nuove regole Ue mirano a dissolvere questa «nebbia» introducendo per l’appunto obblighi stringenti per le aziende, imponendo loro di giustificare eventuali disuguaglianze tra i loro dipendenti e  aumentando così la visibilità dei salari. Inoltre, non sarà più consentito includere nelle clausole contrattuali il divieto di parlare di retribuzioni, una pratica che fino ad oggi ha ostacolato la possibilità per i lavoratori di confrontarsi apertamente sui propri stipendi.

Cosa prevede la nuova normativa

Scendendo più nel dettaglio, la normativa Ue stabilisce che le aziende con oltre 250 dipendenti dovranno fornire una rendicontazione annuale del divario salariale di genere, mentre quelle con un numero inferiore di dipendenti (meno di 250) dovranno farlo ogni tre anni. Questa disposizione implica che ogni impresa dovrà avere una visione chiara delle proprie politiche retributive, con l’obiettivo di ridurre il «gender pay gap», fenomeno che ancora oggi vede le donne guadagnare, in media in Europa, circa il 13% in meno rispetto agli uomini per lo stesso lavoro (in Italia, secondo gli ultimi dati Istat, le donne guadagnano il 15,9% in meno rispetto agli uomini nel settore privato; il 5,2% nel pubblico: in media, una dipendente italiana guadagna 6 mila euro in meno di un collega uomo). 

Cosa accade sei il pay gap supera il 5%

Se il divario medio tra gli stipendi dei lavoratori di pari grado e mansione supererà il 5% senza giustificazioni oggettive, la direttiva Ue impone di avviare una valutazione congiunta con i rappresentanti dei lavoratori per adottare misure correttive. Le aziende che entro giugno 2026 non si adegueranno alla direttiva Ue incapperanno nelle sanzioni e dovranno poi dimostrare di non aver attuato discriminazioni salariali.

Cos’è il «segreto salariale»

Nel nostro Paese, attualmente vige il «segreto salariale», ovvero la riservatezza che il datore di lavoro è tenuto a rispettare sui dati che compaiono nella busta paga. Come sappiamo, il cedolino contiene infatti una serie di informazioni sensibili che, ovviamente, continueranno a non essere divulgate anche in futuro. Lo stipendio rientra nei dati sensibili e, dunque, è stato finora soggetto al «segreto». Con la direttiva Ue questa segretezza viene abolita, riconoscendo alle lavoratrici e ai lavoratori, così come ai loro rappresentanti, il diritto di ricevere informazioni chiare ed esaurienti sui livelli retributivi medi applicati per la stessa mansione o, comunque, per un impiego di pari valore. La normativa ha previsto anche la tempistica della risposta da parte del datore, che deve arrivare al dipendente entro e non oltre due mesi dalla data in cui ha presentato la richiesta. E se le informazioni sono imprecise o incomplete si può insistere per avere una risposta più dettagliata. 

Cosa cambierà nei colloqui di lavoro

Questa decisione dell’Europa potrà influire anche sui colloqui di lavoro. Prima dell’assunzione, infatti, il datore di lavoro avrà l’obbligo di informare il candidato sulla retribuzione iniziale relativa alla posizione, mentre non potrà indagare sullo stipendio percepito dal candidato nel lavoro precedente. Ovviamente, le aziende potranno continuare a pagare in maniera diversa i loro dipendenti ma, se sollecitate, dovranno spiegare ai lavoratori i criteri in base ai quali vengono applicate queste differenze nelle politiche retributive.

La ricaduta positiva sulle aziende

Ma oltre a favorire la parità di genere, la trasparenza salariale porta con sé una serie di vantaggi anche per le stesse aziende. Secondo uno studio condotto dalla Harvard Business Review, le aziende che adottano politiche di retribuzione trasparenti tendono a registrare un aumento del morale dei dipendenti e una maggiore fiducia nelle pratiche aziendali. La trasparenza contribuisce inoltre a ridurre il turnover e a migliorare la soddisfazione sul posto di lavoro, poiché i dipendenti si sentono più sicuri e apprezzati quando vedono che la retribuzione è equa e giustificata.

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3 luglio 2025 ( modifica il 3 luglio 2025 | 12:57)

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