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«Stati Uniti insostituibili per l’agroalimentare, il Mercosur non risolve. Ursula è inaffidabile»

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Roma «Ci si lamenta, si chiede sostegno, ma poi si reagisce, come è nella tradizione delle aziende italiane». Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia, ha appena visto lo spot per la promozione della pasta italiana nel mondo realizzato da Masaf e Ismea con le azzurre del volley: «È un caso, ma quando parlo di reagire intendo questo: promuovere il prodotto italiano facendo conoscere il suo valore aggiunto».

Come l’olio, ad esempio? È uno dei prodotti esportati negli Usa che potrebbero subire un salto di tariffa doganale da zero al 15%.

«Purtroppo sì. Ma un dazio del 15% danneggia un prodotto italiano che sul mercato statunitense è insostituibile e che non può sparire».

Come reagire allora?

«Con dazi così significativi la sfida è duplice: individuare specifiche forme di sostegno per i produttori e pensare ad una campagna pubblica di promozione negli Usa, penso ad una comunicazione che spieghi che l’olio italiano è un balsamo per la salute e sceglierlo fa bene al fisico».

A quanto ammonterebbe il danno per l’agroalimentare italiano?

«Coldiretti stima perdite di un miliardo di euro, ma può essere prematuro fare calcoli definitivi, anche se ci sono già stati effetti a breve termine con una brusca caduta dell’export agroalimentare negli Usa: dopo l’annuncio del 2 aprile si è passati dal +11% del primo trimestre 2025 a +1,3% di aprile e + 0,4% di maggio, la flessione è già in atto».

Alcuni prodotti risentiranno di più delle nuove tariffe?

«Il vino è ancora un punto interrogativo: non è chiaro se il reciproco dazio zero sugli alcolici includa solo i superalcolici, come vorrebbe Trump, o anche il vino, come chiede l’Europa. L’80% del vino italiano negli Usa è il prodotto medio che da noi in cantina costa 5 euro e lì già oggi costa 30 euro a scaffale: un dazio al 15% significa che buona parte dei consumatori Usa non lo comprerà più».

I prodotti medi sono i più a rischio?

«Sfatiamo un mito: negli Usa solo il 2% compra ad esempio vino di alta fascia. Nel 2024 l’export alimentare è cresciuto del 17% proprio perché abbiamo puntato sulla fascia media. Questi dazi restringono molto il target di acquisto e di riferimento».

Si aspettava un risultato così pesante dall’incontro Trump-von der Leyen?

«La delusione è l’elemento prevalente, soprattutto per la modalità con cui sono state portate avanti le trattative. Un minimo di sollievo c’è visti gli annunci dei mesi scorsi che prospettavano dazi ben più alti. Del resto nessuno si aspettava una guerra commerciale con gli Stati Uniti essendo obiettivamente in una posizione di debolezza».

Ursula von der Leyen doveva essere più dura?

«Negoziare alla pari con Trump era impossibile, ma i risultati ottenuti sono del tutto squilibrati. Inoltre credo che stia emergendo un atteggiamento autocratico della von der Leyen che giudico un interlocutore totalmente inaffidabile e inadeguato e che ci sta danneggiando: come è possibile tassare le aziende europee con i fatturati oltre i 100 milioni mentre Trump propone misure ad hoc per attrarle negli Usa?».

Ce l’ha con l’Europa?

«No. Chi negozia deve essere l’Europa. È giusto che sia l’Unione a trattare e non i singoli Stati, altrimenti diventerebbe una battaglia tra poveri. Ma è anche l’Europa che deve essere disponibile a sostenere economicamente le aziende».

Si può rinunciare agli Stati Uniti?

«Assolutamente no! Pensarlo è da economista della domenica. Bene stanno facendo l’Ice e Sace , insieme ai ministeri degli Esteri e dell’Agricoltura, ad esplorare nuovi mercati, la diversificazione è più che mai necessaria. Ma parliamo di una piccola cosa rispetto agli Stati Uniti. L’export agroalimentare italiano in Cina vale appena 660 milioni di euro».

E il resto dell’Asia? Il Sudamerica?

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«La sottoscrizione dell’accordo con il Mercosur (Argentina, Paraguay, Brasile, Uruguay) varrebbe un aumento dell’export italiano, non solo l’agroalimentare, di circa 6 miliardi di euro. Nei 14 cosiddetti growth countries tra cui Turchia, Emirati, Arabia Saudita, India, Vietnam, Sudafrica nel 2024 abbiamo esportato merci per 70 miliardi. Solo negli Usa, l’export italiano è stato di 69 miliardi. E l’agroalimentare di quasi 8 miliardi di euro. No, il mercato statunitense non è sostituibile, né oggi né in futuro».

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1 agosto 2025

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