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«Sonaggios», la magia dei campanacci sardi alla conquista degli Usa

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«Lo spirito di un documentario è puntare la luce su storie e fatti sconosciuti o poco noti, sguardo sulla realtà che a volte trascende i confini della storia stessa, non un punto di arrivo ma di partenza». Forse, per raccontare Sonaggios, si deve partire da qui. Dalle parole del suo regista, Pietro Mereu, alla vigilia della prima mondiale del film italo-canadese (al San Francisco Film Festival dal 17 al 27 aprile).

Perché Sonaggios non è solo un racconto, ma un viaggio. E molto di più. Per questo non lo si può relegare solo a un’esplorazione dell’antica arte della creazione dei campanacci in Sardegna. Quelli fatti a mano, che risuonano in tutte le campagne dell’Isola e nelle feste tradizionali, portati a spalla da figure ancestrali e a tratti inquietanti, per la loro forza e spirito evocativo.

Una storia unica, oggi portata avanti solo da due famiglie di Tonara, nel Nuorese, i Sulis e i Floris. «Si parte da piccole botteghe di artigiani per esplorare un mondo — dice Mereu —. Da “rumori” a ritmo cadenzato per realizzare ogni singolo campanaccio, alla creazione di sinfonie».

Perché di questo si tratta. «I campanacci venivano legati al collo degli animali soprattutto per tranquillizzarli. Quel suono quasi ipnotico li faceva stare sereni, e quindi mangiare di più e produrre di più. E per identificarli».

Perché per i pastori le greggi hanno una sonorità. «Le campane vanno accordate, una per una. Sono diverse in base alle stagioni, più leggere o pesanti, ma creano un’armonia che il pastore deve sempre riconoscere. E anche gli animali».

Memoria di tempi antichi, quando la transumanza era la regola (nel documentario la raccontano i fratelli Locci di Desulo, che ancora la praticano). Quando tra Barbagia e Campidano si riversavano insieme anche 20/30 mila pecore, che poi, superati i passi più angusti, si ridividevano, ognuna dietro il suono delle campane del suo gregge, unico, con i pastori a vigilare.

«Ci sono voluti 5 anni per realizzare questo documentario — precisa Mereu —, entrando nella quotidianità delle due famiglie. Per produrre le campane servono circa 25 fasi. Ma non serve solo realizzarle. Bisogna farle suonare. E i pastori arrivano con un anziano per verificarne l’armonia. Che è come una sinfonia. Cambia a seconda dei territori, ma resta una sinfonia».

La stessa che si sente nelle danze dei Mamuthones e di tante altre maschere sarde. «Una magia, mondi non replicabili che cercano di resistere al cambiamento e alla sparizione, di capire cosa succederà, rimanendo fedeli a sé stessi. Per questo è una storia in qualche modo universale». 

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13 aprile 2025

13 aprile 2025

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