
Se cerchiamo sul vocabolario, il termine «acqua» ci viene descritto come un composto chimico di formula H2O, diffuso in natura nei suoi tre stati d’aggregazione. Un composto che dà vita grazie a due atomi di idrogeno e uno di ossigeno. Un composto che viene onorato nella mostra «Something in the Water» esposta al MAXXI di Roma fino al 17 agosto e curata da Oscar Tuazon (Seattle, 1975) e Elena Motisi, all’interno del più ampio progetto Water School portato avanti da Tuazon. «Lavorare con l’acqua è un esperimento con l’infinito, un processo di apprendimento in continua evoluzione che ci porta a dialogare con le nostre comunità e con il mondo che ci circonda. L’acqua è più intelligente di noi. L‘acqua è l’insegnante per eccellenza e come artista la considero uno strumento essenziale per creare arte. Credo inoltre profondamente che l’arte abbia una capacità speciale di espandere la nostra comprensione del mondo, ed è mio grande privilegio riunire artisti che ci mostrano universi completamente nuovi nell’acqua, il materiale elementare della vita», chiarisce Tuazon.
Le sue opere, nate dall’incontro tra materia industriale e naturale – legno, cemento, vetro, acciaio – si dispiegano in installazioni che accolgono e interrogano il corpo umano, rendendolo protagonista dell’ambiente. Così, il percorso espositivo di Something in the Water si sviluppa come un’esperienza fluida in cui l’acqua diventa il veicolo di connessione tra artisti di diversa generazione e provenienza. Le opere invitano il visitatore a percepire le connessioni che le legano tra loro, in un allestimento che evoca il flusso sinuoso delle anse del Tevere.
«Questa mostra che trasforma l’acqua in un potente linguaggio artistico e simbolico. Il progetto incarna perfettamente la nostra visione di un museo come spazio di incontro e riflessione, in cui arte, architettura e impegno sociale si intrecciano per offrire nuovi strumenti di comprensione e prospettive innovative sul nostro rapporto con il mondo e la società che viviamo», spiega Emanuela Bruni, presidente della Fondazione MAXXI.
Something in the Water è un progetto interdisciplinare tra arte, architettura e attivismo, «sviluppato attraverso immagini, strutture e parole, che pone in sinergia la poetica artistica con la consapevolezza sociale. L’obiettivo della mostra è quello di sensibilizzare il pubblico nei confronti del diritto universale benché limitato all’acqua, affermando il museo quale luogo
fondamentale del dibattito sui grandi temi della contemporaneità», aggiunge Francesco Stocchi, direttore artistico del MAXXI. L’obiettivo, ancora una volta, conclude Monia Trombetta, direttore ad interim, è quello di «rafforzare il dialogo tra l’attività espositiva e l’incremento del patrimonio. La centralità di tematiche ambientali, ecologiche e abitative nel lavoro di Tuazon, oltre che la multidisciplinarietà del progetto, rende la sua presenza significativa: con l’ingresso in collezione di quest’opera, espressione di un’arte intesa come strumento di trasformazione spaziale e sociale, il museo ribadisce la sua attenzione alle riflessioni su spazio, sostenibilità e sperimentazione».
Qualche esempio? Lita Albuquerque accoglie il visitatore con un’installazione video a tre canali dal titolo Liquid Light (2022), un viaggio nel tempo nel tentativo di comprendere la relazione tra uomo e natura. Great Lakes Water School (2023) di Oscar Tuazon in collaborazione con Peter Sandbichler è, invece, una costruzione sperimentale interamente realizzata con materiali di recupero. Il percorso prosegue con Water Cats 8 (2015) di Matthew Barney, una scultura in rame nella quale l’artista affida il gesto creativo alla potenza trasformativa dell’acqua. E ancora, un’attenzione particolare alla vivacità cromatica di Under the Willow Tree (2022) di Saif Azzuz che evoca il corso d’acqua di Collect Pond, ritraendolo nella sua purezza primigenia, prima che i coloni e l’industrializzazione ne offuscassero la vita per la costruzione di Manhattan. Spazio, poi, a Building (2023) di Tuazon, uno spazio di relazione, in cui il pubblico e le opere dell’artista trovano dimora insieme al racconto video della Cedar Spring Water School; all’opera di Anna Sew Hoy dal titolo Psychic Grotto Birdbath (Blue) (2018), progettata come un’architettura per uccelli, che si manifesta come una fontana antropomorfa, confrontandosi con l’oscurità materica di Torkwase Dyson, che con Bird and Lava #03 (2021) si interroga sul futuro della libertà e sulla sua precarietà. Nodo centrale è il lavoro Untitled (Cascade) di Virginia Overton (2020) che interviene nello spazio trasformando le insegne di alluminio dismesse in una scultura sulla quale scorre l’acqua, qui in mostra come elemento vivo. E, poi, ancora, Kuku Town Core Unit (2023) di Marjetica Potrč, nuova edizione di un’unità di servizi progettata per Città del Capo; Over the River (1994 – 2007) che scopre la magia del progetto per l’Arkansas River, mai realizzato ma portato avanti per anni da Christo e Jeanne Claude; Abraham Cruzvillegas che porta in scena il concetto di “autoconstrucción” con Icharhuta atonal en cientotreyntaidosavos de tono (para Luis Gonzalez y Gonzalez) (2017), una canoa tradizionale delle popolazioni del lago Pátzcuaro che evoca la memoria delle acque e delle comunità che ne abitano il corso; e Acqua Alta (2022) di Pavlo Makov, che negli anni ha assunto varie forme a partire dal suo primo concepimento negli anni’90, per poi presentarsi – in occasione della 59esima Esposizione Internazionale d’Artedel 2022, a pochi giorni dall’invasione russa dell’Ucraina – come un’opera che riflette un’umanità schiava delle espropriazioni delle risorse.
29 aprile 2025
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