
La biodiversità ha un grande valore da molteplici punti di vista, è un nucleo centrale della dinamicità vitale e della varietà del Pianeta Terra. Ed è un bene comune da tutelare. Una ricerca internazionale innovativa è stata incentrata sulla “Diversità oscura: come l’impronta umana cancella la biodiversità”.
Con quindici botanici e botaniche delle università italiane impegnati nei lavoro, la ricerca ha raccolto dati di biodiversità in quasi 5.500 siti di 119 regioni del mondo registrando le specie vegetali presenti e anche quelle autoctone che invece non c’erano. Nelle aree protette le specie che resistono sono tre: basta tutelare il 30 per cento del territorio per ridurre l’influenza umana
Lo studio a cui hanno partecipato anche due atenei siciliani rivela che solo una pianta autoctona su cinque sopravvive nei territori minacciati dalla presenza dell’uomo. L’impatto della presenza umana sulla biodiversità naturale delle piante è «devastante in moltissimi ecosistemi del pianeta: fino a quattro specie di piante su cinque sono assenti dai loro habitat naturali nelle aree a maggiore impronta ecologica umana». L’indice misura la quantità di risorse naturali che consumiamo o degradiamo a causa, per esempio, di urbanizzazione, inquinamento, disboscamento. Questi rilevanti aspetti scientifici sono contenuti nello studio internazionale collaborativo DarkDivNet pubblicato su “Nature” che ha coinvolto oltre 250 scienziate e scienziati di tutto il mondo.
Il catalogo dei dati
DarkDivNet, coordinato dall’Università di Tartu in Estonia, ha visto collaborare anche l’ateneo di Catania e quelli di Parma, dell’Aquila, dell’Insubria, di Bologna, di Palermo, di Cagliari, della Basilicata e l’Università Ca’ Foscari Venezia. Sono stati ben quindici i botanici e le botaniche delle università italiane impegnati nello studio, tra di loro anche il professore Gian Pietro Giusso del Galdo dell’Università di Catania. Ricercatrici e ricercatori hanno raccolto dati di biodiversità in quasi 5.500 siti di 119 regioni del mondo, registrando non solo le specie vegetali presenti in ogni sito, ma anche le specie autoctone che dovrebbero esserci e risultano invece assenti.
L’impronta massima
Ciò ha consentito di calcolare il potenziale della diversità vegetale di ogni area e rivelato quanto l’impronta umana l’abbia ridotto. Nei territori tutelati da aree protette gli ecosistemi contengono in genere più di un terzo delle specie potenzialmente idonee, mentre quelle assenti lo sono soprattutto per cause naturali, come i limiti biologici della loro capacità di dispersione. Dove l’impronta umana è maggiore la quantità di biodiversità assente è invece elevatissima, con ecosistemi che arrivano a contenere anche solo una specie idonea su cinque.
Colmare i. gap conoscitivo
Le misurazioni tradizionali della biodiversità impiegate fino ad oggi, come il semplice conteggio del numero di specie registrate, non offrivano un quadro completo: l’identificazione della diversità oscura ha permesso di colmare il gap conoscitivo. La relazione fra l’Indice di Impronta Umana – che rileva fattori quali densità della popolazione, urbanizzazione, agricoltura e infrastrutture – e la diversità oscura ha dimostrato inoltre che l’impatto antropico si estende ben oltre le aree direttamente modificate, fino a centinaia di chilometri di distanza, interessando anche le riserve naturali.
Gli obiettivi globali di tutela
«Lo studio è un’ulteriore conferma di quanto impattano negativamente le nostre attività sulla biodiversità. Da qui la necessità di dare supporto e maggiore impulso alle politiche volte a tutelarla, tanto a livello locale quanto a livello globale», afferma il professor Gian Pietro Giusso del Galdo, del Dipartimento di Scienze biologiche, geologiche e ambientali dell’Università di Catania. Infatti, lo studio rivela quanto l’influenza negativa dell’attività umana sulla biodiversità sia meno pronunciata quando almeno un terzo della regione circostante l’area investigata è incontaminato o ben protetto, a sostegno dell’obiettivo globale di proteggere il 30 per cento del territorio. Il progetto è anche una conferma ulteriore dell’importanza cruciale di promuovere la salute degli ecosistemi siano essi dentro o fuori dalle aree protette. Il concetto di diversità oscura fornisce uno strumento pratico per identificare le specie idonee assenti e favorire il ripristino degli ecosistemi. E spinge in maniera colta verso iniziative di necessaria salvaguardia della complessa realtà del nostro Pianeta.
9 aprile 2025 ( modifica il 9 aprile 2025 | 17:15)
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