Quando tredici anni fa fece la sua prima mossa negli Stati Uniti, rilevando i tre stabilimenti di Cellynne, Luigi Lazzareschi aveva già in mente dove puntare. «Volevo che il mercato europeo e quello americano pesassero lo stesso. Ebbene, ci siamo arrivati, anzi siamo andati oltre, e in anticipo sui tempi previsti. Nonostante il Covid e le altre crisi», dice l’amministratore delegato del gruppo Sofidel, la multinazionale di Porcari, in provincia di Lucca, che produce i Rotoloni Regina e molti altri brand del mondo della carta per uso domestico e igienico. E dopo l’acquisizione monstre di Clearwater Paper Corporation l’anno scorso, valore circa un miliardo di dollari, sette volte l’ebidta dell’azienda acquirente, Lazzareschi ora ha già sferrato un altro colpo «a stelle e strisce», raggiungendo un accordo per l’acquisto, attraverso Sofidel America, di alcuni asset produttivi di Royal Paper, ovvero quattro ulteriori impianti, in Arizona e South Carolina.
La nuova operazione
Sofidel America, che si è presentata come «stalking horse» (acquirente che si è impegnato a fare un’offerta minima prima di un’asta per il fallimento), con un’offerta di 126 milioni di dollari, attende il via libera del tribunale. «Dovrebbe arrivare tra un mese e mezzo circa e siamo fiduciosi », dice Lazzareschi al telefono dagli Usa, appena prima di salire su un volo che lo porterà a Seattle.
Oggi con Clearwater il business di Sofidel (3,2 miliardi di euro i ricavi 2024) si realizza già per il 52-53% negli Usa, con undici impianti in tutto il Paese, e non sorprende che l’agenda del ceo sia così divisa: «Vivo per il 40% del mio tempo in Europa, per un altro 40% in America e per il restante 20% sono in viaggio», fa i conti Lazzareschi, che non ha mai nascosto la sua attrazione per il mercato di Oltreoceano.
I conti
Qui la multinazionale toscana, quinto gruppo al mondo del mercato della carta per uso domestico, in un settore dove gioca contro giganti come Procter&Gamble o Kimberly-Clark, ha investito dal 2016 a oggi oltre 2,6 miliardi dollari, 1,7 dei quali in poco più di un anno. Una posizione che si sta rivelando strategica nel mondo capovolto dei dazi Usa «contro tutti», con non poche imprese, italiane e non solo, che pensano di spostare le produzioni Oltreoceano.
«Sono sempre stato convinto che la manifattura italiana abbia tanto da dire nel mercato Usa — spiega Lazzareschi —. È vero che negli Usa si produce poco e con un Roe più basso che, ad esempio, nel campo del tech. Ecco, qui non possiamo competere ma nella manifattura possiamo fare bene e crescere ancora».
Impianti spesso vetusti, con basse prestazioni produttive e ambientali caratterizzano le fabbriche americane «che hanno bisogno di rinnovarsi e dove noi portiamo il nostro dna e le nostre innovazioni — dice Lazzareschi —. Servono investimenti e noi li stiamo facendo».
Nell’agosto 2024 sono stati infatti stanziati 300 milioni di dollari per ampliare l’impianto in Ohio, il più grande dell’azienda negli Usa, e nelle scorse settimane sono iniziati i lavori in Minnesota, a Duluth, per la costruzione di un impianto integrato, che significa cartiera e converting, per il quale sono stati stanziati ulteriori 200 milioni. «Negli anni della crescita americana abbiamo spinto i nostri concorrenti a innovare, una mossa di cui ha beneficiato la filiera dell’industria meccanica, anche del distretto cartario di Lucca, perché la maggior parte dei nostri fornitori è italiana», dice Lazzareschi.
Oggi Sofidel America è il quarto produttore Usa e ha il 10% del mercato ma Lazzareschi non pensa di fermarsi. «Abbiamo tutti gli occhi addosso — dice —. All’inizio i concorrenti ci snobbavano: li abbiamo costretti a ricredersi. Noi siamo entrati negli Usa rispondendo a una domanda del mercato: il settore aveva bisogno di rinnovarsi e la marca privata cresceva del 7-8%, siamo andati a colmare le richieste della grande distribuzione organizzata, senza dare fastidio a nessuno».
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Il contesto
Richieste che sono volate nelle ultime settimane, complice il contesto di caos causato dagli annunci e dai rinvii sui dazi. «Quando c’è aria di crisi i nostri prodotti sono tra i primi a diventare oggetto di accaparramento — svela Lazzareschi —. Durante lo sciopero dei porti americani dello scorso autunno in cinque giorni abbiamo venduto quanto un mese. E con i dazi le vendite sono salite del 30%».
C’è da festeggiare, dunque? «Intanto, con questi picchi di richieste è poi difficile riportare la filiera “in equilibrio” — dice il ceo —. In generale, non condividiamo la politica dei dazi perché, in un mondo interconnesso come il nostro, è evidente che non si ritorcono solo contro chi esporta ma anche contro il Paese che emana le tariffe. Se il problema è che l’America deve produrre di più, non credo che la soluzione siano i dazi».
Il presidente Trump ha però promesso incentivi e semplificazioni a chi sposta la produzione su suolo americano. «Ma queste non sono decisioni che si prendono sull’onda dell’emotività per combattere i dazi — ribatte Lazzareschi —. Sono decisioni che devono tenere conto di tanti fattori, aprire un nuovo mercato non è mai facile, figuriamoci costruire un impianto. Ci vogliono in media due anni per trovare un sito, un anno per i permessi, altri due per la costruzione… E non va dimenticato che gli incentivi sono stanziati per settori strategici e già molto protetti, basti pensare cosa è accaduto quando i giapponesi si sono fatti avanti per acquistare Us Steel». Un brusco stop, appunto.
«Qui si respira incertezza, le aziende cercano di parare i colpi, perché anche se sei un’azienda americana non sei al riparo». Tutt’altro. Soprattutto se, come Sofidel, la tua materia prima principale, la cellulosa, la acquisti fuori dagli Usa. «Dalla Scandinavia o dal Brasile — elenca Lazzareschi — dove già paghiamo dazio e non sappiamo cosa potrebbe accadere domani. È una situazione che non può reggere a lungo, ritengo. Ho coniato questa metafora : i dazi sono come certa cattiva carta igienica: è debole, si sfascia in un attimo e non sai quando finirà…».
Al contrario dei rotoloni Regina che, come recita la storica pubblicità del brand, «non finiscono mai».
23 aprile 2025
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