
Le sirene, quelle che dall’antica Grecia di Ulisse, sono approdate a un fastoso, elegantissimo country club nei pressi di New York, hanno il marchio dell’abile sceneggiatrice Molly Smith Metzler, autrice della bella serie «Maid», si ispira a una sua opera teatrale (si chiama «Elemeno Pea» e fu scritta nel 2011 quando l’autrice era allieva alla Juillard school) e con la mitologia omerica non ha nulla a che fare.
Ma è un buon prodotto, graditissimo dalla platea di Netflix, tutto centrato sugli sguardi di tre donne e di come queste, con gradino generazionale, si animino solo quando gli uomini le guardano. Una commedia diretta da Nicole Kassel di incastri tra gente facoltosa, come si usava nel genere sofisticato che ha reso grande il cinema americano, ma qui, come nella precedente serie, è sempre la sudditanza a essere nel mirino.
Là erano le condizioni di lavoro precarie delle cameriere, qui siamo miliardari, villa stile Trump o amici, ma con gesti e linguaggio decisamente «europei» e atmosfere cupe pur tra flash e raffinatezze gastronomiche. In lizza ci sono tre bravissime attrici, ed è questa la ragione per parlarne: un Oscar come la superba Julianne Moore che si butta con tutti gli artigli di una studiata crudeltà sulle fattezze sociali di Michaela Kell, eccentrica, ricca signora che protegge specie rare di uccelli e organizza per il Labor day fantastici, sontuosi gala di una fastosa pacchianeria.
La assiste no stop, devota e reverente, rapporto che è e resta quanto meno morboso, la giovane bella, docile e bionda Simone (Milly Alcock, «House of the Dragon») che fa la prima della classe, finchè l’incantesimo si rompe quando viene a farle visita Devon De Witt, la sorella ancora proletaria (la eccellente Meghann Fahy, premiata per «The White Lotus 2»), lasciata cameriera in un fast food di Buffalo per assistere il padre vecchio, alcolizzato e già fuori di testa: il loro tragico passato si snoda poco alla volta.
Nella villa, cui si accede con un incastro di scale da far paura, ci sono tanti servitori almeno quanti in «Downton Abbey», ma con un’altra signorilità. Tra uccelli rapaci si aggirano giardinieri, capitani di nave, un amico scapolo incallito, Ethan, playboy ed arriva anche il marito della signora, Kevin Bacon redivivo nel ruolo miliardario di Peter, che ha una ex moglie finita misteriosamente: regna l’avidità, greed.
Noi sappiamo come stanno le cose, le difficoltà a campare della sorella che vive nel Queens e che rompe l’armonia fatata dei miliardi e della strana relazione ai vertici. Come in una pochade, convergono in villa per la festa, senza invito, anche il vecchio padre trasandato con amico badante e le situazioni, anche sentimentali, si complicano sempre più fino a esplodere in un finale quasi sindacale che però attende ancora l’ultima sorpresa.
La serie di 5 puntate di un’ora ciascuna è gradevole, è anche un poco prevedibile, date le premesse, e s’incarta con troppi grovigli di famiglia, fino all’irruzione della polizia. Ambientato in un weekend importante, il lungo film soggiace alla potenza rapace come i pennuti protetti dalla Moore, reduce da Almodòvar, ma anche delle due sorelle travolte da insoliti destini che decidono alla fine della sua vita, finora manuale di buone maniere miliardarie bio, da rivista femminile.
Il tutto tra sospetti di humour, manipolazioni incrociate, gelosie e ricatti, baci rubati, mentre agi e disagi si fanno strada fra la vocazione alla commedia sociale e quella romantica ma la mitologia greca, scogli e mare a parte, continua a restare estranea.
18 giugno 2025
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