«Dobbiamo tagliare i tassi adesso, non aspettare che il mercato del lavoro si deteriori». È un intervento fuori dal coro quello del governatore della Federal Reserve Christopher Waller, che con una dichiarazione pubblica rompe l’unità del Comitato di politica monetaria della banca centrale americana (Fomc) e motiva il suo voto contrario alla decisione della Fed di mantenere i tassi invariati al 4,25-4,5% nella riunione di mercoledì 30 luglio. In un momento in cui l’indipendenza della banca centrale americana è sotto pressione, anche per le continue critiche del presidente Donald Trump, Waller espone un dissenso che però suona come un allarme. «Ho ritenuto che un taglio di 25 punti base fosse la posizione più appropriata», sostiene.
Il dissenso di Waller si basa su tre motivi principali. Primo: l’effetto dei dazi imposti dagli Stati Uniti – in un contesto segnato dalla guerra commerciale voluta dal presidente Donald Trump – è temporaneo. «I dazi sono aumenti una tantum del livello dei prezzi e non causano inflazione persistente», afferma il governatore. «Secondo la prassi standard delle banche centrali, si dovrebbe “guardare oltre” questi effetti, finché le aspettative di inflazione restano ancorate – e al momento lo sono».
Secondo: i dati macroeconomici mostrano che la politica monetaria non dovrebbe più essere restrittiva. «La crescita reale del Pil è stata dell’1,2% nel primo semestre del 2025 e si prevede che rimarrà debole nel resto dell’anno – ben al di sotto della stima di lungo periodo dei membri del Fomc. Il tasso di disoccupazione è al 4,1% ( l’1 agosto il Bureau of Labour Statistics ha corretto il dato al 4,2%, ndr), vicino alla nostra stima di equilibrio, e l’inflazione totale è solo leggermente superiore al 2%, se escludiamo gli effetti dei dazi che ritengo temporanei». E aggiunge: «Questi dati indicano che il tasso di interesse dovrebbe trovarsi intorno al livello neutrale, che il Fomc stima al 3%, e non 1,25–1,50 punti percentuali sopra tale livello, come è oggi».
Il terzo motivo è il deterioramento del mercato del lavoro. Waller segnala che, tenendo conto delle revisioni previste, la crescita dell’occupazione nel settore privato è quasi ferma e che i rischi per l’occupazione sono in aumento. «Non dovremmo aspettare che il mercato del lavoro si deteriori prima di intervenire», osserva. «Quando il mercato del lavoro gira, spesso lo fa in modo rapido. Aspettare potrebbe ritardare troppo l’allineamento della politica monetaria alla situazione reale».
Pur rispettando le opinioni dei colleghi, Waller definisce «eccessivamente prudente» l’approccio attendista: «Il wait-and-see è una strategia eccessivamente prudente. Rischiamo di restare indietro rispetto alla curva». Waller riconosce il diritto a visioni diverse all’interno del Comitato – «segno di una discussione sana e robusta» – ma invita a non attendere una chiarezza che potrebbe non arrivare mai: «È possibile che non sapremo con precisione l’impatto dei dazi per mesi. Nel frattempo, potremmo trovarci già in piena frenata occupazionale».
Il contesto non è neutro. Da mesi il presidente Trump attacca duramente il presidente della Fed, accusandolo di essere un «idiota» e sempre «in ritardo» sul taglio dei tassi. Ha perfino minacciato più di una volta di licenziarlo, salvo fare marcia indietro per la reazione dei mercati, che temono la perdita d’indipendenza della banca centrale, fondamentale per il sistema economico.
Secondo Powell, la strategia protezionistica della Casa Bianca, con una sequenza di dazi su prodotti cinesi, europei e degli altri Paesi del mondo, ha infatti alimentato una fase di incertezza economica e geopolitica. Ma la Fed, almeno finora, ha mantenuto una linea prudente.
Waller non chiede un taglio aggressivo: «Non penso che il Fomc debba intraprendere un percorso predeterminato. Possiamo tagliare adesso e osservare l’evoluzione dei dati. Se l’inflazione e l’occupazione sorprendono verso l’alto, possiamo fermarci». Ma aggiunge: «Non vedo motivi per mantenere l’attuale livello dei tassi e rischiare un improvviso peggioramento del mercato del lavoro». Anche all’interno della banca centrale più potente del mondo, il dibattito è cominciato.
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1 agosto 2025
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