Home / Sport / Sha’Carri: le botte al fidanzato e l’arresto, la folle corsa della bad girl che fugge dai fantasmi

Sha’Carri: le botte al fidanzato e l’arresto, la folle corsa della bad girl che fugge dai fantasmi

//?#

Gli Avengers non bevono, non rollano le canne, non minacciano il suicidio. «Ho la sensazione che noi donne dello sport, invece, per farci accettare dobbiamo per forza diventare supereroine: sempre più belle, più veloci, più potenti. Ma, alla fine, siamo solo esseri umani». Sha’Carri Richardson da Dallas, Texas, 25 anni, campionessa del mondo in carica dei 100 metri, la quinta sprinter più veloce della storia dell’atletica leggera (10”65), è una regina al contrario. I tatuaggi sono il suo mantello: un leone sulla coscia, il drago sulla schiena, un grande occhio sul petto.

Nell’America delle brave ragazze uscite dal ghetto — Serena e Venus Williams, Angel Reese, Brittney Griner —, sdoganate dal riscatto sociale e dai guadagni faraonici, Sha’Carri è la bad girl che chiunque può giudicare (male). Il 27 luglio, quattro giorni prima delle selezioni statunitensi per il Mondiale di Tokyo, che scatta il 13 settembre, l’hanno arrestata all’aeroporto di Seattle: stava maltrattando il fidanzato Christian Coleman, antico rivale di Marcell Jacobs nella sfida mondiale della velocità, un altro ex idolo caduto, azzoppato da una squalifica di 18 mesi per aver saltato tre controlli antidoping. Violenza domestica, è l’accusa con cui l’hanno fermata e poi rilasciata, difesa con passione da Coleman, che di disagio s’intende: «È stata una situazione orribile. Voglio dire: le persone discutono, si emozionano, vivono momenti del genere. Sha’Carri ha tante cose su cui deve lavorare per migliorare, come tutti».

Ha i suoi albi, la ragazza che sembrava destinata a ritoccare il record di Florence Griffith (10”49), ormai vecchio di trentasette anni. Extension, unghie posticce, 155 centimetri di esplosività pura, Richardson è la figlia prodigio di una madre che l’ha abbandonata bambina, è stata cresciuta dalla nonna Betty e dalla zia Shay (lei chiama entrambe «mamma») che ne ha acceso il talento lasciandola giocare con le sue vecchie medaglie da atleta del college. A 16 anni era già veloce, a 19 velocissima, a 21 dominava i Trials per l’Olimpiade giapponese (quella dei cinque leggendari ori dell’Italia di Jacobs e Tamberi), dove non sarebbe mai arrivata: un test positivo alla cannabis l’ha sgambettata sulla strada per Tokyo, facendola risprofondare nella disapprovazione collettiva. «Avevo appena saputo che la mia madre biologica era morta — si è giustificata lei —, ho fumato per attenuare il dolore». Lo stesso che l’aveva spinta a tentare il suicidio al primo anno di liceo: «Ero finita in un posto buio». Nell’oscurità, Sha’Carri ha sostato a lungo. Ha accusato sui social l’ex girlfriend, l’ostacolista giamaicana Janeek Brown, di aver abusato di lei, è stata sbarcata da un volo dell’American Airlines per comportamenti inappropriati, che minacciavano la sicurezza dei passeggeri.

Di salute mentale nello sport al femminile, si è cominciato a parlare solo negli ultimi anni. È stata la tennista giapponese Naomi Osaka, ex numero uno del mondo, ad imporre l’argomento all’attenzione del mondo. Nel 2021, scoppiando a piangere a Parigi in conferenza stampa e ritirandosi dal tennis per tempo indefinito, Osaka cercava di dirci che le pressioni sui modelli femminili avevano raggiunto il livello di guardia. Richardson ne sa qualcosa: «Ho visto l’esistenza rivoltarsi contro di me, ma ho cercato di non cambiare, di non tradire me stessa. E oggi la vita non mi fa più paura». Il Mondiale di Tokyo aspetta la sprinter che, insieme al collega Noah Lyles, è riuscita a restituire il regno della velocità all’impero americano dopo tre lustri di dominio della Giamaica di Bolt e Fraser. L’arresto a Seattle, infatti, non ha impedito a Sha’Carri di qualificarsi: sarà presente sui blocchi dei 100 metri in quanto campionessa iridata in carica. Ma resiste la sensazione di una giustizia popolare a doppio binario, quando a finire nei guai sono le atlete afroamericane, bisessuali, paladine dei diritti Lgbtq+, orfane emotive di madri dipendenti dalle sostanze e assenti. «Il dolore per una perdita non scompare dalla sera alla mattina, Richardson è una donna fortemente traumatizzata, alla quale la società Usa non è disposta a perdonare niente — spiega al New York Times Christina Greer, professoressa di scienze politiche alla Fordham University di New York —. E credo che questa intransigenza abbia a che fare con la sua razza e la sua infanzia travagliata». Ciascuno, in fondo, sfugge al passato con i talenti che ha. Sha’Carri Richardson sta provando a seminare gli incubi: il vero traguardo saranno i Giochi di Los Angeles 2028, in casa, quando avrà 28 anni. Ma forse ha sottovalutato le gambe dei suoi fantasmi.

6 agosto 2025 ( modifica il 6 agosto 2025 | 07:06)

6 agosto 2025 ( modifica il 6 agosto 2025 | 07:06)

Fonte Originale