
Un nuovo e ingiustificato attacco alla fauna selvatica. È questa la posizione espressa dalle associazioni rispetto al via libera all’abbattimento in Alto Adige di due lupi tra gli oltre 78 mappati nella Regione dall’ultimo report dedicato ai grandi carnivori (2023). Il provvedimento, firmato il 30 luglio scorso, è stato affidato al Corpo forestale ed è avvalorato dal parere positivo espresso sia dall’Osservatorio faunistico provinciale che dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra). Come ricorda la nota delle autorità provinciali, è una risposta ai «31 attacchi ad animali al pascolo, confermati e documentati come attacchi di lupi tra maggio e luglio 2025 in Alta Val Venosta».
Una decisione «inaccettabile: dobbiamo dire basta allo sterminio della fauna selvatica che in Alto Adige, come in Trentino, viene puntualmente proposto come soluzione ai problemi di convivenza con i carnivori. Problemi generati da amministrazioni che si rifiutano di fare politiche di prevenzione, per poter dare voce alle armi», tuona l’onorevole Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega Italia per la Difesa degli Animali e dell’Ambiente e dell’Intergruppo parlamentare per i diritti degli animali. Leidaa, insieme a Leal e Oipa, ha predisposto un’istanza cautelare ante causam al Tar di Bolzano, per chiedere la sospensione dell’autorizzazione. Nel testo si sottolinea come il declassamento del lupo da specie «particolarmente protetta» a specie «protetta» — votato a marzo dalla Convenzione di Berna — non è stato ancora recepito nel nostro ordinamento. La decisione del presidente Arno Kompatscher dà per scontato che il prelievo di due esemplari «a caso» metta fine alle predazioni, mentre «sono ignoti gli effetti delle uccisioni indiscriminate sui branchi», chiariscono le associazioni. La linea delle Province autonome riguardo alla gestione dei grandi carnivori potrebbe «esporre l’Italia all’apertura di una nuova procedura d’infrazione in tema di gestione della fauna selvatica», oltre a essere in contrasto con l’articolo 9 della Costituzione che “tutela ambiente, biodiversità ed ecosistemi”». Ad annunciare un ricorso al Tar anche l’Enpa: «Si tratta di un atto puramente politico che ignora completamente le evidenze consolidate in materia di convivenza tra allevamento e fauna selvatica».
Gli abbattimenti non costituiscono una “soluzione” efficace al conflitto con la zootecnia, che va affrontato con una corretta strategia di prevenzione: «Non c’è alcuna base scientifica dietro quest’ordinanza selettiva. Prima di tutto perché, nonostante siano effettuate delle analisi genetiche sulle prede uccise, è quasi impossibile riconoscere a distanza i lupi considerati “problematici”. E in Svizzera un recente studio dimostra che nel 50% dei casi è quello sbagliato», spiega Marco Antonelli, zoologo e referente Grandi Carnivori del Wwf Italia. C’è, poi, il rischio di un effetto boomerang: «Il lupo ha una dinamica demografica molto rapida. Anche eliminando un intero branco, il territorio viene rapidamente ri-colonizzato dai giovani esemplari in dispersione. È un circolo vizioso che non risolve il problema, ma lo perpetua», aggiunge l’esperto. L’abbattimento, insomma, è una “soluzione” che non guarda al lungo periodo: «C’è una grande contraddizione gestionale. Senza dimenticare che se si abbattono i riproduttori potrebbero esserci ancora più danni, perché si va a spezzare la coesione del branco. I giovani senza una guida vanno a cacciare le prede che trovano più facilmente, come ovini e caprini non custoditi». Quella che va messa a punto, dunque, è una politica di prevenzione: «Penso alle reti elettrificate, a buone pratiche di custodia e alla presenza di cani da guardiania, ben diversi da quelli da conduzione», conclude Antonelli.
3 agosto 2025
© RIPRODUZIONE RISERVATA
3 agosto 2025
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