
«Macron démission» è stato lo slogan comune ai cortei di Parigi e Marsiglia, Nantes e Avignone, Rennes e Digione, l’unico vero collante di una protesta che non è riuscita a «bloccare tutto», come era nelle intenzioni, ma ha permesso a 200 mila persone — delle quali circa 500 arrestate — in tutta la Francia di esprimere le rivendicazioni più varie, dal fare pagare i ricchi a dare il potere a Jean-Luc Mélenchon, dalla fine del capitalismo all’incarcerazione (se non peggio) di Benjamin Netanyahu in un tripudio di bandiere palestinesi, ma con un unico collante, una richiesta più forte di tutte le altre: le dimissioni del presidente della Repubblica, Emmanuel Macron.
La violenza
Come sempre, accanto a migliaia di manifestanti pacifici, si sono visti molti black bloc arrivati con il volto coperto pronti a spaccare (più che a bloccare) tutto, e anche stavolta la mobilitazione di piazza ha avuto il suo contorno di ferimenti, incendi, assalti. C’è un aspetto ormai rituale e quindi disperato negli scontri di piazza e nei roghi di auto che si susseguono in Francia da molti anni, e nelle occasioni più diverse, dai festeggiamenti di Capodanno ogni 31 dicembre alla rivolta per l’uccisione del 17enne Nahel a Nanterre, dal no alla riforma delle pensioni al trionfo del Psg in Champions League: arriva un momento del raduno, qualsiasi raduno, in cui si vedono le fiamme, i lacrimogeni, le vetrine spaccate, poliziotti che picchiano e che vengono picchiati. La violenza che cova nella società esplode, si mostra per qualche ora o giorno, poi, per fortuna, torna sotto la superficie. È successo anche ieri, nella giornata del bloquons tout, il movimento del «blocchiamo tutto» nato per fare cadere il premier François Bayrou, e andato avanti anche dopo che Bayrou è caduto da solo, lunedì scorso in parlamento.
La nuova rivoluzione francese non c’è stata, gli incidenti sono sembrati una prova generale, ma c’è da chiedersi quanto a lungo la Francia potrà convivere con un simile tasso di violenza cronica.
Intervento preventivo
Il ministro dell’Interno Bruno Retailleau affida la sua ragion d’essere politica al ristabilimento dell’ordine, la sua ossessione anche retorica. È dimissionario ma spera di essere riconfermato nel governo Lecornu nascente, e secondo alcuni vorrebbe provare anche a conquistare l’Eliseo, nel 2027 o prima, se le invocazioni alle dimissioni di Macron dovessero funzionare.
Così ieri non poteva fallire, e si è mosso per tempo: all’alba 80 mila gendarmi e poliziotti erano già dispiegati nei punti nevralgici del Paese, davanti alle stazioni e agli aereoporti, pronti a intervenire. «La Francia del coraggio (le forze dell’ordine) contro la Francia del sabotaggio», ha detto subito, ieri mattina, incolpando la sinistra radicale e il suo leader Jean-Luc Mélenchon che «si sono impadroniti della protesta per sovvertire l’ordine democratico».
Tensioni nella Capitale
A Parigi tanti liceali in piazza, tra striscioni che chiedono per Macron la sorte toccata a Luigi XVI (Macron décapitation), e il solito coro ritmato in italiano siamo tutti antifascisti. In Francia, più che in altre parti del mondo, il diritto democratico a scendere in piazza si accompagna ormai, anche per i più pacifici, alla possibilità un po’ surreale ma molto concreta di prendersi da un istante all’altro lo spray urticante negli occhi, o finire in mezzo a forsennati che lanciano pezzi di asfalto in testa ai poliziotti. Nel quartiere di Les Halles il centro commerciale è stato chiuso per evitare il saccheggio imminente, ma un ristorante è andato in fiamme assieme alla facciata del palazzo, un istante dopo che una giovane coppia di trentenni, Françoise e Jacques, laureati con due stipendi e due figli, teoricamente inseriti nel sistema, spiegava con grande calma che «siamo qui perché la società non può più funzionare così, neanche per noi relativamente privilegiati». Sono i francesi ric-rac, «appena appena»: hanno studiato bene e trovato presto lavoro, eppure anche loro arrivano a fine mese a fatica, attenti all’ultimo euro. Si sentono in colpa perché sanno che molti stanno peggio, in questi giorni tutti parlano dei pensionati «che devono scegliere se mangiare o curarsi, se mangiare o accendere l’acqua calda», ma in piazza c’è anche tanta classe media «declassata», quella che ha creduto nella meritocrazia, si è laureata presto e bene, e adesso «lavoriamo per pagare l’affitto e mangiare, ma non avanzano soldi neanche per Netflix».
Il bilancio
Alla fine Retailleau può continuare a coltivare le sue ambizioni. È vero, 110 voli sono stati annullati, decine di treni hanno avuto ore di ritardo, il museo d’Orsay e parte del Louvre sono rimasti chiusi a Parigi, alcuni autobus sono stati dati alle fiamme e completamente distrutti a Rennes dove i manifestanti hanno anche interrotto il traffico sula tangenziale ma, anche stavolta, poteva andare peggio e «la Francia non è stata bloccata», proclama il ministro.
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10 settembre 2025
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