
Per il momento l’affermazione è rimasta nelle retrovie dell’informazione quotidiana, sfuggita ai più anche se non a tutti, a cominciare dal settimanale tedesco «Stern» che ha pubblicato l’intervista e ai siti «Basketinside» e «Sportando» che in Italia l’hanno citata. Parliamo di Dennis Schroder, playmaker della Germania di basket campione del mondo e tra le favorite del Campionato europeo al via la prossima settimana. Giocatore nella Nba — dove ha fatto il «giramondo», tant’è che suo malgrado una volta gli hanno fatto cambiare ben tre club nel giro di 24 ore: ora si è accasato ai Sacramento Kings con un contratto triennale, sempre che duri… — Dennis è un regista di indiscusso talento, anche se a volte è discontinuo e spesso non sa autoregolarsi quando incappa in un momentaccio. Ma di qualità ne ha da vendere, altrimenti non sarebbe stato, tra le 11 squadre professionistiche che l’hanno ingaggiato, anche ai Boston Celtics, ai Los Angeles Lakers e ai Golden State Warriors.
Eppure Dennis sente che qualcosa gli manca: ovvero il sentirsi pienamente amato dai tifosi. Ecco il passaggio sul tema nell’intervista a «Stern»: «Avevo 14 anni quando Dirk Nowitzki portò la bandiera tedesca ai Giochi olimpici di Pechino 2008. Avevo pensato quale onore fosse e lo penso tutt’oggi. È incredibile rappresentare la nazionale tedesca, ma non riceverò mai il suo amore per via del mio colore della pelle».
Serve prima di tutto un «memo»: anche la Germania l’ha onorato del ruolo di alfiere alle Olimpiadi, è successo a Parigi 2024. Quindi cominciamo a escludere l’idea che siano stati usati due pesi e due misure. Riflessione conseguente: non è che stia esagerando e facendo ingiustamente del vittimismo? Crediamo che sia lui sia Nowitzki siano due «eroi» del basket tedesco e che siano semplicemente portatori di storie differenti, più che di un diverso colore della pelle.
Comunque di tanto in tanto certi temi ritornano, anche perché la questione del razzismo verso uno sportivo è tutt’altro che marginale o circoscritta. Limitandoci all’Italia, è di circa un anno fa un sondaggio condotto da Swg secondo il quale metà delle persone intervistate aveva considerato normale insultare gli avversari, gli arbitri e perfino i propri campioni. Inoltre uno su cinque degli interpellati riteneva lecito ricorrere a epiteti razzisti. E qui il campo si allarga al concetto di buon senso, di civiltà, di rispetto. Purtroppo sono valori non sempre presenti. Fu proprio un nostro cestista — rientriamo nel solco della pallacanestro, visto che eravamo partiti da Schroder —, vale a dire Carlton Myers, a dichiarare che «l’Italia rimane un Paese razzista». Lo disse quando in occasione dei Giochi di Sydney 2000 toccò a lui il ruolo di portabandiera.
Vero o non vero, o esagerato pure in questo caso, Carlton a distanza di anni non ha cambiato idea. Però a volte le manifestazioni becere conducono a risultati importanti. Rimanendo nel basket, è quanto è appena successo alla Nazionale Under 20, nella quale i ragazzi di colore sono parecchi. Prima del via dell’Europeo di categoria la foto di gruppo fu bersagliata sui social network da insulti di ogni tipo. Si dà il caso che l’Italia di coach Alessandro Rossi abbia poi vinto la medaglia d’oro e che David Torresani sul suo profilo Instagram abbia dato la miglior replica a quegli attacchi insulsi: «Grazie per i commenti razzisti, ci avete dato la carica».
Se funzionerà così anche per Schroder e per i suoi mal di pancia affettivi, be’, allora aspettiamoci che la Germania iridata vada molto lontano pure nell’Europeo, avendo già vinto il bronzo nel 2022 a Berlino.
22 agosto 2025
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