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Scatto autentico o propaganda? La foto della fame nella Striscia di Gaza diventa un caso

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È partita come un invito alla cautela, una riflessione sulla propaganda di guerra e sulle conclusioni affrettate a cui può condurre, ma ben presto si è trasformata in una tempesta mediatica e in uno strumento di propaganda.
Domenica il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha pubblicato un articolo intitolato «Quanto vere sono le immagini di Gaza?», che indagava il contesto in cui le immagini filtrano dalla Striscia, dove Israele non dà accesso alla stampa internazionale, salvo rare eccezioni, e dove Hamas non lascia libertà di stampa

L’autore, Nicolas Freund, intervista vari esperti. Come il rappresentante di Reporter Senza Frontiere, Christopher Resch, che avverte, per quanto riguarda le zone ancora sotto controllo del gruppo terroristico: «È probabile che ben poco materiale riesca a oltrepassare la censura di Hamas».

Mentre nel Nord, Freund fa notare, sono i soldati israeliani ad esercitare una forte influenza sulle immagini. Viene poi intervistato anche un esperto di Storia della fotografia, Gerhard Paul, professore emerito dell’Università di Flensburg, che mette in guardia sull’importanza del contesto: circolano foto «che non sono dei falsi, ma sono presentate in un certo modo».

Per illustrare il problema, la Süddeutsche Zeitung ha pubblicato un’immagine che ha poi scatenato un polverone, assumendo vita propria. Lo scatto ritrae un fotoreporter, Anas Fteiha, collaboratore dell’agenzia di Stato turca Anadolu, che punta l’obiettivo su un gruppo di palestinesi, affacciati da un muretto, che sventolano contenitori vuoti, come per ricevere cibo. Problema: dall’altro lato del muretto (almeno per quel che si vede nell’inquadratura) non c’era nessuna distribuzione di cibo, ma solo Fteiha. È quella che si dice una fotografia staged, una messa in posa a favore dell’obiettivo: è possibile, e anzi probabile, che la folla aspettasse veramente degli aiuti, ma i gesti fatti in quel preciso momento erano per il fotografo. Che però è stato a sua volta «colto sul fatto» da un suo collega di Anadolu, Khames Alrefi.

Nel giro di due giorni la Bild, il popolare tabloid, ha rilanciato la storia, ma in chiave diversa. «Questo fotografo di Gaza mette in scena la propaganda di Hamas», si legge in un titolo di martedì. La notizia, insomma, è il caso specifico di Anas Fteiha. A dire il vero lo stesso tabloid ammette che «la sofferenza dei civili a Gaza è immensa», ma poco importa, quell’articolo fa il giro dei social network, diventa munizione per l’arsenale retorico di chi nega che a Gaza ci sia la fame. 

Il ministero degli Esteri israeliano lo utilizza per sostenere che il lavoro di Fteiha è un esempio di «Pallywood», crasi di «Palestina» e «Hollywood» che i sostenitori di Netanyahu usano per mettere in dubbio la veridicità della crisi umanitaria e dei morti palestinesi. Una risposta arriva da Barak Ravid, giornalista israeliano a Washington che lo scorso anno ha vinto il premio dei corrispondenti alla Casa Bianca: «Ho un annuncio, Israele non fa entrare a Gaza la stampa internazionale, il che rende difficile avere fonti indipendenti su cosa sta accadendo lì»

7 agosto 2025 ( modifica il 7 agosto 2025 | 11:26)

7 agosto 2025 ( modifica il 7 agosto 2025 | 11:26)

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