Home / Economia / Sanità, il 10% degli italiani (soprattutto donne) rinuncia a curarsi: prima causa le liste d’attesa, mentre continuano a mancare i medici

Sanità, il 10% degli italiani (soprattutto donne) rinuncia a curarsi: prima causa le liste d’attesa, mentre continuano a mancare i medici

//?#

C’è un’Italia che aspetta. Aspetta una visita, un referto, una terapia. E nell’attesa, rinuncia. Nel 2024 quasi un italiano su dieci ha smesso di curarsi: 5,8 milioni di persone, secondo gli ultimi dati dell’Istat, hanno rinunciato a una prestazione sanitaria per le liste d’attesa, per motivi economici o per la scomodità delle strutture. Solo un anno fa erano 4,5 milioni. Un milione e trecentomila storie in più di rinuncia e rassegnazione.

«Il 9,9% della popolazione ha dichiarato di non essersi curato per problemi legati ai tempi o ai costi», ha spiegato il presidente Francesco Maria Chelli in audizione sulla Manovra. La prima causa resta la lentezza del sistema: il 6,8% degli italiani ha rinunciato a curarsi perché le liste d’attesa erano troppo lunghe:  un dato quasi raddoppiato in cinque anni (era il 2,8% nel 2019).

A soffrire di più sono gli adulti tra i 45 e i 64 anni (8,3%) e gli anziani oltre i 65 (9,1%), ma soprattutto le donne: il fenomeno riguarda il 7,7% di loro, con picchi del 9,4% nella fascia di mezza età. Una nota diseguaglianza che attraversa anche la salute.

​L’Italia che si arrende alle attese

A confermare il quadro pochi giorni fa è stato anche il nuovo Rapporto Gimbe sul Servizio Sanitario Nazionale, che registra per il 2024 una crescita del 51%, rispetto all’anno precedente, delle rinunce alle cure per attese eccessive. Undici regioni, tra cui Lombardia, Lazio, Puglia e Sardegna, segnano valori peggiori della media nazionale (9,9%). Ma in Sardegna il dato tocca un record drammatico: 17,2% della popolazione ha rinunciato a farsi visitare e, dunque, a curarsi.

Dietro le percentuali, ci sono persone che rimandano una colonscopia, una visita cardiologica, un controllo ginecologico. Secondo il Rapporto, solo quattro visite su dieci vengono garantite nei tempi previsti. Una colonscopia può richiedere oltre sei mesi d’attesa; una visita cardiologica, fino a 114 giorni; una neurologica, fino a 122.

E mentre i pazienti attendono, il sistema si logora. «In Italia abbiamo uno dei pochi sistemi al mondo dove l’accesso alle cure è democratico, ma non lo sarà ancora a lungo se non si interviene sui problemi strutturali», avverte Giacomo Baldi, anestesista e fondatore di GapMed, che sviluppa soluzioni digitali per la gestione del personale. «La vera cura è organizzativa: non servono solo più medici, ma un uso più efficiente di quelli che abbiamo».

Sedici mila medici mancanti, a partire dai «medici di base»

Secondo le stime di GapMed, servirebbero 16.500 medici in più per ridurre in modo significativo le liste d’attesa. Le carenze più gravi riguardano la medicina di base (–5.575 dottori), la pediatria (–3.323), la medicina interna (–2.000) e l’anestesia (–1.395). Ma la crisi più profonda è proprio quella dei medici di famiglia, il primo presidio del sistema pubblico.

Negli ultimi dieci anni, secondo i dati della Fimmg, ne sono «spariti» oltre 7 mila, passati dai 45.203 del 2013 ai 37.983 del 2023: quasi il 20% in meno.
Il risultato è che oltre cinque milioni di italiani non hanno più un medico di riferimento, e potrebbero diventare otto milioni entro pochi anni.

E anche quando i posti ci sono, mancano i candidati. Nei concorsi per il corso triennale di medicina generale, nel 2024 il 15% delle borse di studio è rimasto vuoto: su 2.623 posti, solo 2.240 aspiranti si sono presentati. In alcune regioni, le defezioni superano la metà: Marche –68%, Molise –67%, Bolzano –57%, Lombardia –45%, Liguria –42%, Veneto –41%.

Un mestiere che non attrae più

La borsa di studio per chi sceglie la medicina generale vale 900 euro al mese, contro i circa 1.600 delle altre specializzazioni universitarie. A ciò si aggiungono burocrazia, costi di gestione e un carico di pazienti ormai fuori scala: il 74% dei medici lombardi e quasi il 70% dei veneti assistono più dei 1.500 pazienti massimi consentiti, arrivando spesso a 1.800 o 2.000. E così,  mentre la popolazione invecchia — gli over 80 sono triplicati in quarant’anni, e nel 2034 gli over 65 saranno il 29% degli italiani — i dottori calano.

«Il massimale di 1.500 assistiti per medico, fissato negli anni Ottanta, è ormai insostenibile», ha ricordato Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe. «La popolazione è più anziana e più malata. E i medici sono meno. Il rischio è che il sistema si spezzi».

Chiedi agli esperti

6 novembre 2025

6 novembre 2025

Fonte Originale