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Sanità, D’Urso lascia il Dipartimento salute: le tre vie per sostituirlo. Le opposizioni: «Una tragicommedia»

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La scelta, precisa Antonio D’Urso, «è maturata su motivazioni di natura esclusivamente personale». All’indomani dell’annuncio della giunta regionale dell’Umbria della sua nomina a direttore generale dell’Azienda ospedaliera di Perugia, il direttore generale del Dipartimento salute della Provincia ci tiene a fare chiarezza sulle ragioni della sua decisione di lasciare il Trentino (il suo incarico a Perugia inizierà a settembre). Allontanando subito le ipotesi di screzi con i vertici di Piazza Dante. «In questi mesi — dice D’Urso — ho avuto una ottima intesa con l’assessore Tonina e con il presidente, che ringrazio per l’esperienza che mi hanno consentito di fare».

Rimane il fatto che la notizia, arrivata come un fulmine a ciel sereno in Piazza Dante, ha spiazzato tutti. «La giunta ne ragionerà» assicura asciutto Tonina. Ma è chiaro che il problema c’è. Considerato soprattutto che il lavoro di riforma per trasformare la sanità trentina in un sistema territoriale è in pieno svolgimento. E considerate le altre «grane» che Piazza Dante deve affrontare sempre sul fronte sanitario: su tutte, la battaglia legale che si è aperta sulla progettazione del nuovo Polo ospedaliero e universitario del Trentino, con un appello al Consiglio di Stato che impone di fatto un ulteriore rinvio dei tempi dell’opera.

Le possibili strade

L’esecutivo, dunque, dovrà capire come orientarsi. E le strade sono diverse. Si dovrà decidere, in primo luogo, se affidarsi ancora a un professionista esterno: una via già testata, che però comporta tempi lunghi, con l’individuazione del nuovo sostituto che potrebbe avvenire non prima di dicembre. L’altra possibilità è individuare un professionista interno alla struttura, anche se il quadro dei dirigenti provinciali, in questo momento, soffre di più di un tassello mancante (non a caso, la giunta ha voluto riportare in Piazza Dante Enrico Menapace, togliendolo dalla guida del Comune capoluogo). L’ultima opzione guarda alla possibilità di attingere dalla graduatoria che era stata stilata lo scorso anno e che aveva visto primeggiare D’Urso.

Le critiche di Pd e CasaAutonomia

Intanto la questione in queste ore sta assumendo anche un sapore politico. «Siamo alla tragicommedia» tuonano il capogruppo consiliare provinciale del Pd Alessio Manica e il segretario del partito Alessandro Dal Ri. Che parlano di sanità trentina «lasciata in braghe di tela». E che ricordano i «segnali» delle intenzioni di D’Urso emersi in queste settimane: «Era già trapelata la notizia che il dirigente stava partecipando a concorsi in altre regioni, aspetto curioso e contraddittorio per una figura che aveva assunto da meno di un anno un ruolo così sfidante». Il Pd ammette la preoccupazione per il «rapporto fiduciario piuttosto fragile» emerso tra assessore e dirigente, ma anche per i tempi stretti di preavviso del trasferimento a Perugia («Un mese e mezzo, meno di un collaboratore amministrativo»). Quindi la stoccata: «A un anno e mezzo dall’inizio della legislatura, tra fughe di vertici, di personale, bandi stoppato e assenza di scelte forti, la sanità continua nella sua situazione di grande difficoltà. Difficoltà che i trentini provano tutti i giorni nell’accesso ai servizi fondamentali».

Non è tenera nemmeno Paola Demagri, che interpreta la decisione di D’Urso come «un messaggio non detto che suona forte: qui non ci sono le condizioni per restare». «Durante i suoi nove mesi — prosegue la consigliera di CasaAutonomia — D’Urso si è immerso nei problemi più spinosi: i gettonisti, il nuovo ospedale, la riforma, le liste d’attesa. Ma ha trovato anche altro: il tema dell’accoglienza, il personale in fuga, un clima generale che non sostiene il cambiamento imposto». Un «copione che si ripete», osserva Demagri: «E non è un caso isolato. In sei mesi, più primari hanno abbandonato le guide delle loro unità operative». Testimonianza di un «sistema sanitario che si sbriciola». 

A doverne rendere conto, secondo la consigliera, è il governatore: «Fugatti, nel 2018, ha tracciato il destino della sanità trentina: nessuna progettualità, l’introduzione della scuola di Medicina con processi non governati e non condivisi, decisioni timide e spesso inopportune e una strategia che ha messo la provincia sotto il tappeto della Lega nazionale». In questo quadro, conclude Demagri, «abbiamo davanti un futuro che rischia di restare solo promesso».


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14 luglio 2025

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