
Celeberrimo, Salvador: anche, se non soprattutto, per l’ego smisurato, straripante… L’amato e odiato, anzi odiatissimo Dalí (fu anagrammando il suo nome che l’amico-nemico André Breton gli affibbiò il soprannome «Avida Dollars»). Ancora oggi, solo a (ri) leggerne le mille citazioni-aforisma si scongiura ogni noia: «L’ unica differenza tra un pazzo e me è che io non sono pazzo!». Oppure: «Il Surrealismo sono io». E ancora: «Rarissime, nella mia vita, le occasioni in cui mi sono degradato a indossare abiti borghesi. Vesto sempre l’uniforme di Dalí». Ve ne sono ovviamente, di aforismi, anche per i celebri baffi (che copiò da uno dei suoi numi, Diego Velázquez): «Affilati, imperialisti, ultra-razionalisti e puntati verso il cielo, come il misticismo verticale»; o per la quasi altrettanto celebre piscina a forma di fallo che si fece costruire nella casa di Port Lligat sulla Costa Brava, con i ricci di mare vivi sul fondo: «Ciò che impedirà al bagnante borghese di starci in piedi».
«Chissà se sarò considerato il Raffaello della mia epoca»
Tra queste mille «sparate» lui si chiedeva anche — ma in forma ipotetica e forse con un pizzico di autoironia, comunque concedendosi il beneficio del dubbio — «chissà se un giorno, senza volerlo, non sarò considerato il Raffaello della mia epoca». Una suggestione che oggi è divenuta certezza nei pensieri di Montse Aguer, direttrice dei Musei de la Fundació Gala-Salvador Dalí, responsabile della «direzione scientifica» della mostra inaugurata il 16 ottobre al Museo del Corso-Palazzo Cipolla e intitolata Dalí. Rivoluzione e Tradizione. La quale, a domanda — «Dalí può essere considerato il Raffaello del XX secolo?» — ha assertivamente risposto: «Assolutamente sì».
Confronto tra Autoritratti
Una iperbole che ha concretamente preso forma in uno dei tratti distintivi dell’allestimento, nel punto in cui, sotto la citazione di Salvador, sono stati affiancati un Autoritratto di Dalí del 1921 (circa) e quello, celeberrimo, dell’Urbinate (1506), prestato dalle Gallerie degli Uffizi di Firenze.
Si tratta di uno dei rarissimi pezzi concessi alla mostra romana da altri soggetti che non siano la Fundació Gala-Salvador Dalí, quasi unico prestatore di questa esposizione che ricorda da vicino, anzi da vicinissimo, quella allestita al Vittoriano nel 2012. Più o meno gli stessi disegni, le stesse opere, che stavolta però sono poche decine (23 dipinti e una trentina di disegni) e da rintracciare in una massa di materiale documentario e fotografico quasi sempre riprodotto, anche in formato gigante, vero protagonista del percorso.
Il rapporto con Picasso, conosciuto nel 1926
Curata da Carme Ruiz González e Lucia Moni, la mostra, così è stato spiegato, «apre in concomitanza con la ricorrenza del centenario dalla prima personale dell’artista spagnolo». Non si tratta dunque di una (vera) antologica dedicata a colui che, piaccia o meno, è uno dei grandi protagonisti dell’arte del Novecento, bensì di un concentrato, una sorta di «Dalì Express», su alcuni aspetti (furono talmente tanti…) della fosforescente carriera dell’artista catalano. Ad esempio l’amore (poi rinnegato) per il connazionale Picasso. Bella, a questo proposito, la prima sezione-sala della mostra, in cui però Dalí non è ancora… Dalí (almeno non quello che tutti conoscono), ma un giovane che negli anni Venti guarda, si ispira e quasi pende dalle labbra di Pablo, conosciuto nel 1926.
Di sé diceva: «L’unico vero genio moderno».
Opere come le nature morte degli anni ’23-24, o Tavolo di fronte al mare. Omaggio a Erik Satie (1926 circa) o Figure distese sulla sabbia dicono quanto Salvador si sia nutrito, soprattutto agli inizi, dei linguaggi in voga nell’avanguardia soprattutto parigina del tempo, ben prima di approdare alla sua cifra distintiva. Un estro, quello di Dalí, comunque rintracciabile, come un sottile filo rosso, fin dalle foto di gioventù (in cui amava farsi immortalare travestito da regina Nefertiti d’Egitto) per giungere alle opere tarde dipinte da quest’uomo a suo modo unico: immodesto e narcisista, irrazionale e spregiudicato, decadente e curiosissimo, paradossale e vanitoso oltre ogni limite. Un esibizionista? No: «L’unico vero genio moderno». Parole, ovviamente, sue.
Informazioni
Fino al 1 febbraio, Museo del Corso-Palazzo Cipolla, via del Corso 320, museodelcorso.com. Una mostra: Fondazione Roma e Fundació Gala-Salvador Dalí. In collaborazione con Ministero della Cultura di Spagna e con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia. Supporto organizzativo: MondoMostre. Ingresso intero: €18. Catalogo: Moebius Editore
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17 ottobre 2025 ( modifica il 17 ottobre 2025 | 07:43)
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