
«Le mosche da una parte, le polpette dall’altra». Conversando con i giornalisti che assistevano all’incontro con il suo omologo del Kirghizistan, per spiegare come vede l’attuale situazione internazionale, il ministro degli Esteri Sergei Lavrov ha fatto ricorso a una vecchia battuta, quando nelle mense sovietiche le condizioni igieniche erano tali da chiedere la separazione dei due ingredienti al momento di essere serviti.
Ovviamente non sussiste alcun dubbio su chi il Cremlino consideri alla stregua dei fastidiosi insetti nell’attuale situazione geopolitica. «Assistiamo a una situazione di stallo senza precedenti tra il nostro Paese e l’Occidente, che ha deciso di nuovo di scatenare una guerra contro di noi e di infliggere una sconfitta strategica alla Russia, usando essenzialmente il regime nazista di Kiev come ariete», ha proseguito il capo della diplomazia russa. «L’Occidente non ci è mai riuscito, non ci riuscirà nemmeno questa volta, e forse sta iniziando a capirlo».
Ma se il termine generico con il quale viene identificato il nemico rimane lo stesso da tre anni e mezzo, i suoi confini si sono ormai ristretti alla sola Europa, i cui principali leader sono infatti oggetto degli strali di Lavrov e dei media russi a reti unificate. Commentando un recente editoriale congiunto firmato da Emmanuel Macron e Friedrich Merz, nel quale si definisce la Russia «la principale minaccia» e si afferma la necessità per l’Europa di «armarsi», l’esperto ministro degli Esteri ha affermato che «questi personaggi hanno definitivamente perso il senno e stanno cercando apertamente di tornare ai tempi in cui Francia e Germania volevano conquistare l’intera Europa, in primo luogo l’Impero zarista e l’Unione Sovietica».
Lavrov non ha avuto un ruolo diretto nei recenti negoziati e nei due vertici di Istanbul, gestiti in modo diretto dagli uomini del Cremlino. Ma da tempo le sue parole sono considerate un barometro degli umori russi, che dopo i dodici giorni di conflitto tra Iran e Israele volgono decisamente al bello. «Siamo aperti a un lavoro onesto per una soluzione equa della crisi ucraina», afferma il ministro degli Esteri. «Ma non siamo pronti per il genere di intrighi a cui alcuni leader europei ci hanno costretto a partecipare».
Sono dichiarazioni che fanno il paio con quelle del portavoce di Vladimir Putin sulla Russia «che non può essere costretta a trattare con la pressione o con la forza» di eventuali sanzioni, ma può tornare al tavolo delle trattative «solo con la logica e le argomentazioni».
La nottata mediorientale è passata senza grandi danni per la Russia. Per quanto malconcio, l’alleato iraniano è ancora in piedi, e quindi nessuno può accusare Putin di averlo abbandonato al suo destino.
Quanto all’altro più recente e più importante alleato, dagli Usa continuano ad arrivare segnali tutto sommato rassicuranti, al punto da far pensare a Mosca che l’annuncio di nuove sanzioni sia un bluff o una blanda misura d’immagine. Proprio ieri Sergei Naryshkin, il direttore dei Servizi segreti esteri, ha raccontato di avere avuto un lungo e cordiale colloquio telefonico con il capo della Cia John Ratcliffe, e di aver concordato con lui sulla possibilità di chiamarsi ogni volta che serve «per discutere questioni di interesse». E Yuri Ushakov, primo consigliere del Cremlino, ha detto che per quanto non sia ancora in programma, un incontro tra Putin e Donald Trump potrebbe avvenire «in qualsiasi momento».
La sanzioni americane, ammesso e non concesso che possano davvero arrivare, sono considerate come una rappresentazione teatrale, un atto dovuto per non compromettere i rapporti con l’Europa, che non andrà a interrompere un dialogo ben avviato.
I progressi sul fronte sono minimi e l’offensiva d’estate ristagna, almeno così sembra da una analisi dei dati fatta dal quotidiano inglese Telegraph. Ma la Russia continua a bombardare le città ucraine, più per far sentire a livello internazionale il proprio peso e le proprie intenzioni che per fiaccare il morale del nemico. È come se in questo momento l’orizzonte russo fosse ridotto alla sola America, con un Trump messo sul piedistallo dalla politica e dai media russi. Gli altri non esistono, se non per parlare a vanvera. «È così che viviamo in questi mesi» scrive l’editorialista principe dei falchi Dmitrij Popov. «Loro dicono sciocchezze, noi siamo buoni e leggeri».
30 giugno 2025
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