
«Meglio sbagliare che usare l’autotune. È la prima volta che cantiamo i pezzi nuovi, ci sta che non sia tutto perfetto». Rocco Hunt presenta, chiacchiere e un minilive, il suo nuovo album «Ragazzo di giù» e per stare in tema sceglie l’ex salone bagagli della Stazione Centrale di Milano con tanto di biglietto simil-ferroviario per accedere all’incontro, valigioni con le sue iniziali a caratteri cubitali e tabellone delle partenze coi titoli delle canzoni. «Questo è l’album della maturità», dice. «Ci sono anche pezzi leggeri», come il nuovo singolo country pop «Cosa ti amo a fare», ma «sono canzoni introspettive e conscious, ci sono tematiche che mi portano lontano dal Rocco sotto l’ombrellone delle ultime estati».
Sull’onda di «Mille vote ancora», il brano che ha portato a Sanremo, c’è tanto sud fra ricordi, nostalgia, radici… «Demone santo» mostra le contraddizioni della sua terra d’origine, lui è di Salerno, e la frase «Quelle povere creature morte sotto al ballatoio per me sono vittime dello stato e dell’abbandono» è uno schiaffo: «Mi riferisco al crollo in una delle vele di Scampia. A che servono i tricolori sulle bara e le condoglianze del presidente se hai perso un figlio? In un altro passaggio del brano faccio riferimento alle alluvioni mettendo a confronto chi ha i piedi nel fango e chi in giacca e cravatta specula sulla ricostruzione».
Il sud è anche nella miscela nell’uso fra italiano e napoletano e negli ospiti: «C’è Gigi D’Alessio il “ragazzo di giù” per eccellenza che qui canta su una base urban. E ho fatto cantare in napoletano anche Irama. Ho anche un brano scritto con Olly e Juli: sono di Genova, c’è il mare che ci unisce, si sente nella scrittura».
Il racconto della vita di strada accompagna «Fratmo» con Baby Gang e Massimo Pericolo, due rapper con un passato complicato fra condanne e carcere. «Oggi fra i rapper è di moda fingere di aver avuto esperienze di un certo tipo e di mostrarsi come non si è nella realtà. Qui parliamo di strada come l’abbiamo vissuta e io da fratello maggiore offro consigli a chi ha sbagliato. Io ho avuto un’adolescenza quasi noiosa, ma conosco amici che hanno avuto esperienze diverse. In loro due ho trovato voglia di riscatto, il riconoscere gli sbagli fatti e il cercare nella musica una seconda chance. Non credo si debba sparare a zero su tutti i testi dei rapper, ma cercare di entrare nelle dinamiche che stanno dietro».
La parte conscious esce anche in «Bonafortuna», storia di una donna che riesce a uscire da una relazione tossica. «L’ho scritta prima di questa raffica di eventi di cronaca. Nel 2016 con Annalisa avevamo fatto un brano sulla violenza contro le donne. Questa è una dedica a una ragazza che si porta il mondo sulle spalle e si libera da una relazione tossica con un uomo che finge di amarla».
Un pensiero (con lacrima annessa) va al figlio di 8 anni. «In “Primm’ de 30” racconto la mia emancipazione riferendomi anche alle scuole che lui può frequentare e all’accento milanese che gli è venuto anche se per non fargli perdere quello di giù d’estate quando torniamo a trovare la famiglia è come un corso».
23 aprile 2025
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