
«Quella italiana? È la mia identità scelta». Non è un segreto che Robert Guédiguian abbia un legame particolare con il nostro paese. Il regista non perde occasione per tornarci, il 18 aprile alle 20.15 sarà con la moglie e compagna di avventure artistiche Ariane Ascaride al cinema Nuovo Sacher per presentare insieme a Nanni Moretti il loro film, La gazza ladra (La pie voleuse), passato in anteprima in ottobre alla Festa del cinema di Roma, e in sala da ieri con Officine Ubu. E il giorno dopo a Milano al cinema Anteo con il critico Paolo Mereghetti. Un nuovo capitolo della sua commedia umana sugli ultimi, attraverso le storie degli abitanti dell’Estaque, il quartiere proletario di Marsiglia, che non si arrendono all’incattivimento e brutalità dei tempi.
Cosa intende per identità scelta?
«Si parla molto di radici e appartenenze. Io, nato a Marsiglia, ho origini armene e tedesche, sono francese ma mi sento a casa anche in Italia. Ci ho fatto un po’ di gavetta, ho molti amici e un rapporto stretto con il pubblico. Sono felice che sia Moretti a presentare il film al Nuovo Sacher, ci siamo trovati spesso insieme nei festival con le nostre opere».
Per «La gazza ladra» è tornato nel suo luogo d’elezione, l’Estaque. Protagonista è Maria (Ascaride), una sorta di Robin Hood contemporanea. Da cosa ha preso spunto?
«L’idea mi è venuta da una vicenda reale successa al mio capo macchinista, chiamato dalla polizia per informazioni sulle domestica di sua madre, sospettata di aver emesso un assegno falso. Le persone che si prendono cura degli altri spesso vivono esistenze precarie. Ci vivono accanto e non ne sappiamo nulla. Invece, in un momento buio come quello che viviamo, servono l’ascolto e l’attenzione per chi ci circonda».
Si dice spesso che la bontà non è spettacolare, lei ne ha fatto il meccanismo narrativo del film.
«Esatto. A chi dice che non si possono fare i film con le buone intenzioni io rispondo proprio usando la forza del cinema. Ho sempre provato a ribaltare i cliché».
C’è un intrigo che è bene non svelare, ma si può dire che ci sia un anelito di speranza. Il suo è un cinema politico, è una scelta di campo?
«Sì, dico che l’umanità non è mai completamente perduta. E rivendico l’importanza della bellezza come pratica etica. Anche la cura degli altri lo è. Diventa una forma di autogoverno, un po’ cristiano, un po’ comunista».
Qui mette in discussione lo stesso concetto di furto e proprietà.
«Diciamo che Maria crede in una sua personale forma di redistribuzione della ricchezza. È molto attenta a non danneggiare nessuno, a non deludere chi si fida di lei. Si prende cura degli altri con amore, è una donna che ama la gente e ama la vita».
Per questo non rinuncia a piccoli grandi piaceri, in nome di una sua legge del desiderio?
«L’idea che se non hai i soldi non puoi godere delle cose belle è profondamente ingiusta. Maria non crede che i poveri non possano assaporare delizie come la musica di Rubinstein o le ostriche».
Il pane e le rose: vivere, non solo sopravvivere?
«Sì. Un diritto vitale alla bellezza, al piacere. È difficile da rivendicare, lo so bene. Ma dobbiamo farlo. Ancora di più nei momenti difficili. Non dovremmo pretendere solo il minimo indispensabile. La vita non può essere ridotta al necessario, occorre anche godere della leggerezza, della bellezza».
Come sempre ritroviamo sullo schermo i suoi attori: Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan. Una vera famiglia artistica?
«È così. Abbiamo iniziato anni fa insieme, un gruppo di amici, più o meno coetanei. Nessuno ci dava troppo credito e abbiamo continuato, sorretti dall’amicizia e dalle affinità. Tutte le persone con cui lavoro vengono dal mio stesso ambiente, famiglie operaie che volevano fare cinema e teatro per raccontare il loro mondo. Dopo 4 o 5 film insieme ho capito che era il mio modo di lavorare e abbiamo continuato. Oggi mi rendo conto che alcuni personaggi dei film recenti sembrano in dialogo con quelli del passato. Un po’ come quelli di una soap opera….».
La sua filmografia si potrebbe leggere come una storia socio-sentimentale del suo paese negli ultimi 40 anni. È d’accordo?
«Mi ci riconosco, sì. La commedia umana di Balzac. D’altronde, lo stesso Marx diceva che per conoscere una società sono a volte più utili i romanzi che i saggi teorici».
È ottimista?
«Non bisogna essere ingenui, ma la fiamma è sempre accesa. Il mio film precedente finiva con Arianne che diceva una frase: devi cercare di pensare che nulla è finito. Lo credo anche io».
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17 aprile 2025
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