
Voleva abolire cacicchi e correnti. Con i primi (vedi Enzo De Luca) ha ancora qualche problema, con le seconde anche. In compenso, Elly Schlein è riuscita, quasi senza volerlo, a dividere il correntone di minoranza del Pd, i riformisti. La segretaria ha in animo da giorni di convocare una Direzione ma il presidente del partito Stefano Bonaccini, finora, ha frenato perché sa che questa volta la sua corrente potrebbe spaccarsi e non seguirlo. Lorenzo Guerini, Pina Picierno, Simona Malpezzi, Giorgio Gori, Filippo Sensi e tanti altri non sono più disposti ad assentarsi al momento del voto per permettere a Schlein di poter dire che «la Direzione ha deciso all’unanimità» (l’ultima volta è successo con i referendum sul Jobs Act). Se la segretaria imposta la relazione in modo per loro non accettabile questa volta voteranno no, con buona pace di Bonaccini.
In attesa di capire come andrà a finire questa partita interna, le correnti stanno crescendo come funghi dentro il Pd e nei suoi dintorni. L’ultima nata è stata ribattezzata dai parlamentari dem «Mi faccio i fatti miei». Una sigla che non allude al disinteresse per la vita di partito ma, piuttosto, all’interesse per il proprio destino. Capo corrente, nominato sul campo dai suoi colleghi eurodeputati, Antonio Decaro, che attualmente soggiorna a Bruxelles in attesa di candidarsi a governatore della Puglia. Ne fa parte anche Matteo Ricci, pure lui ospite della capitale belga, in corsa per la guida delle Marche.
La penultima nata, invece, è stata tenuta a battesimo l’altro ieri dall’europarlamentare Marco Tarquinio, dal vicepresidente del gruppo dem di Montecitorio Paolo Ciani e dalla governatrice dell’Umbria Stefania Proietti. Si chiama «Rete civica e solidale». Ha la pace (e i maligni dicono anche la Russia) nel cuore. La terzultima sta dento e fuori il Pd, perché l’ha creata Alessandro Onorato, assessore ai Grandi eventi della giunta capitolina, ex lista Marchini, che però è assai sponsorizzato da un dem di provata fede, Goffredo Bettini. La quart’ultima, anch’essa con un piede dentro e uno fuori il Pd, è rappresentata dai comitati «Più uno» di Ernesto Maria Ruffini, l’ex direttore dell’Agenzia delle Entrate, supportato da alcuni ex parlamentari dem e — raccontano nei corridoi di Montecitorio — da Romano Prodi.
Quindi si va sul classico. L’evergreen «Area dem» ha perso qualche pezzo e, peraltro, il suo fondatore ha annunciato qualche anno fa lo scioglimento della corrente. Ma la verità è che Dario Franceschini continua ad avere un ruolo fondamentale nel Pd. Attualmente si sta occupando di dare vita (e un leader, anzi una leader, visto che pensa a Silvia Salis) al soggetto politico di centro che dovrebbe affiancare Pd, M5S e Avs. Lo stesso obiettivo di Bettini, che qualcuno ancora associa, a torto, a Nicola Zingaretti, ma i due in realtà non si parlano più. Identico orizzonte di centro per Beppe Sala che questo mese dovrebbe lanciare una sua associazione. Con Franceschini, il senatore Alberto Losacco e la capogruppo a Montecitorio Chiara Braga.
Ci sono quindi i Dems di Andrea Orlando, che ha in condominio con Schlein due fedelissimi: Marco Sarracino e Peppe Provenzano. Sempre attivi i «Giovani turchi», benché l’età si faccia ormai sentire. Matteo Orfini e Francesco Verducci i più noti. Con «Compagno è il mondo» si sono fatti spazio nel Pd gli ex Articolo 1 Roberto Speranza, Arturo Scotto e Nico Stumpo (che secondo qualcuno ormai lavora indefessamente con Igor Taruffi all’Organizzazione). Infine, quel che resta dei «lettiani», dopo che il loro leader si è defilato (lui sì sul serio), ha dato vita a «Crea», con Marco Meloni, Silvia Roggiani e Anna Ascani.
Per finire, c’è la mega corrente di Schlein. La cerchia dei fedelissimi della leader è però alquanto ristretta. Igor Taruffi, Gaspare Righi, Flavio Alivernini, Marta Bonafoni, Marco Furfaro, più qualche altro. Vicinissimo a Schlein, ma mantenendo una propria autonomia, il capogruppo al Senato Francesco Boccia.
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1 luglio 2025
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