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«Riappare» l’ayatollah Khamenei: «Siamo noi i vincitori, non ci arrenderemo mai»

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La voce è roca. Le pause sono lunghe. Il turbante nero, quello da Sayyid — colui che discende da Maometto — , sembra troppo grande. Dopo otto giorni di misterioso silenzio, l’ayatollah Ali Khamenei riappare in un video messaggio trasmesso dalla televisione di Stato per smentire le speculazioni sulla sua sorte — «È vivo!» — e per rivendicare la «grande vittoria contro il nemico sionista».

L’incipit: «Nel nome di Allah, il Clemente, il Misericordioso. Pace e benedizioni sulla cara e grande nazione dell’Iran». Con la stessa scenografia dell’ultimo video — bandiera della Repubblica islamica alla sua destra, e ritratto minaccioso di Ruhollah Khomeini a sinistra — dal bunker segreto onora la memoria dei «preziosi martiri dei recenti eventi; i generali e gli scienziati» uomini importanti per la Repubblica islamica e che «oggi, al cospetto di Dio, riceveranno la ricompensa». Prosegue con le congratulazioni. La prima: «Alla Nazione iraniana per la vittoria sul falso regime sionista».

«Le seconde congratulazioni sono per la vittoria del nostro caro Iran sul regime americano — continua l’ayatollah. Il regime statunitense è entrato in guerra perché riteneva che, se non lo avesse fatto, il regime sionista sarebbe stato completamente distrutto. la Repubblica Islamica è uscita vittoriosa e, in cambio, ha sferrato un duro schiaffo in faccia agli Usa». Secondo Khamenei l’America «non è riuscita a ottenere alcun risultato significativo» attaccando gli impianti nucleari, e il presidente Donald Trump «ha fornito un resoconto “esagerato” di quanto accaduto». Poi, fa il terzo giro di congratulazioni e lo dedica alla «straordinaria unità e concordia della nazione. Sia lodato Dio, una nazione di circa novanta milioni di persone, unita, con una sola voce, spalla a spalla, che ha sostenuto le forze armate». Nella catena di menzogne che compone il «discorso della vittoria», questa è quella che fa più infuriare gli oppositori: «L’unica cosa vera è che siamo 90 milioni, ma solo il 10% sostiene il suo regime», commenta Mina, da Teheran. «Chi ha chiesto la fine dei bombardamenti non ha mai fatto il tifo per i suoi uomini che non ci rappresentano. Che esca dalla tana, piuttosto».

Secondo la Guida suprema gli Stati Uniti «non sono realmente interessati al nucleare» iraniano o all’arricchimento dell’uranio. Quello che vogliono, «è che l’Iran si arrenda». Sembra leggere: «Un giorno si parla di diritti umani, un altro di diritti delle donne, poi della questione nucleare, poi dei missili: in realtà il nocciolo della questione è sempre stato lo stesso: vogliono che l’Iran si arrenda, ma non ci arrenderemo mai, il solo accenno alla resa è un insulto».

Tredici minuti di parole logore che riscrivono la «Guerra dei 12 giorni». Secondo la narrazione della Guida suprema è stato un trionfo schiacciante. Non importa se in meno di due settimane si trovino con la catena di comando militare falcidiata, il programma nucleare e missilistico gravemente danneggiato. Non importa nemmeno che lui celebri i suoi «trionfi» da un bunker, terrorizzato di essere un target dell’intelligence israeliana. E non sbaglia del tutto a rimanere rintanato. Solo ieri, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha ammesso: «Se la Guida suprema fosse stato nel nostro mirino, lo avremmo eliminato. Volevamo fare fuori Khamenei, ma non c’è stata alcuna opportunità operativa». Una fonte vicina al regime racconta al Corriere che gli ayatollah sono spaventati anche dall’idea di un’azione interna: «Qualcuno pensa a un attentato di oppositori».

«In pochi si bevono le sue bugie, ma lui parla a quei pochi che non può permettersi di perdere», commenta un giornalista iraniano, al Corriere. E fa notare come in questa lunga orazione l’ayatollah non dica nulla di concreto. Khamenei non fa menzione di quello che sarà il futuro dell’Iran. Non parla di negoziati — i mediatori dell’Oman hanno proposto un incontro con gli Usa a cui gli iraniani non hanno ancora risposto — e nemmeno di nucleare. Intanto il Consiglio dei Guardiani, supremo organo esecutivo, ratifica la legge approvata dal Parlamento per la sospensione della cooperazione sui programmi nucleari con l’Aiea, l’Agenzia dell’Onu.

In fondo, Khamenei è il volto della «tigre di carta». Ad altri tocca il ruolo di assicurare a suon di compromessi un futuro a quello che rimane della Repubblica islamica, ma lui, la Guida suprema, deve continuare a minacciare di nuovi attacchi Israele e Stati Uniti — che per 16 volte chiama «regimi» — e fingere gratitudine nei confronti del suo popolo che ringrazia mentre lo incarcera, lo punisce e lo impicca (a maggio ci sono state 152 esecuzioni). Come atteso, la repressione si fa sempre più dura: mercoledì hanno arrestato 700 persone con l’accusa di essere «spie di Israele». Si teme per i detenuti della prigione bombardata di Evin: «Alcuni, potrebbero essere stati trasferiti in luoghi segreti». 

26 giugno 2025

26 giugno 2025

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