Lunedì Carlo Calenda ha aperto il dibattito sulle Regioni, con un’intervista nella quale le definisce «un’enorme mangiatoia, di stipendi, consulenze, nomine». Per il leader di Azione «alimentano un sistema parassitario, corrotto, che moltiplica i centri di potere. Attraverso i soldi pubblici, hanno costruito una base di consenso clientelare. È un nuovo feudalesimo, una degenerazione del sistema che va fermata». Prendendo sul serio la provocazione di Calenda, proviamo a raccontare più approfonditamente il tema delle Regioni, parlando con Isaia Sales e Pietro Spirito, autori del libro appena uscito «Servono ancora le Regioni?» (Colonnese) e con il costituzionalista Francesco Clementi.
La democrazia degenerata
Il punto di partenza del libro di Sales e Spirito – che ha una prefazione di Francesco Pallante – è la domanda del titolo, che arriva 55 anni dopo la loro istituzione: «Servono ancora le Regioni?». Per capirlo, il libro esplora la storia di come siamo arrivati ad avere questa ripartizione. Ed è una storia poco nota e relativamente recente. La conclusione, anticipiamo il verdetto, è che «le Regioni oggi sono il luogo in cui si sta costruendo una forma degenerata di democrazia».
L’Italia nata da 7 Stati
La prima apparizione delle Regioni è nella Costituzione del 1948. La nuova Italia antifascista prova a darsi una forma democratica. Nel 1861 il nuovo assetto nazionale nasceva dall’unione forzata di sette Stati. L’Italia era stata terra di grande tradizione municipale, nata nel Rinascimento, e che sarebbe stata rinverdita nei primi anni del XX secolo con Crispi e Giolitti e poi soffocata dal fascismo, che sostituì i sindaci con i podestà. Le prime Regioni, quelle a statuto speciale, vengono fondate già prima della Costituente, per ragioni di carattere internazionale: si teme il secessionismo di alcune parti del Paese, si concede uno spazio di autonomia per tutelare le minoranze linguistiche o per evitare forme di ribellione o di banditismo contro lo Stato. Ma perché vengano davvero istituite quelle a statuto ordinario, occorre aspettare il 1970.
Perché tanto tempo? Perché cambiano le condizioni politiche. A volerle nel 1948 era stata soprattutto la Democrazia cristiana di don Sturzo e Dossetti, ma erano favorevoli anche intellettuali come Lussu e Salvemini. Erano contrari, invece, i liberali. Il Pci era tiepido, se non ostile, ma si mise in scia per contrastare il centralismo autoritario del fascismo. Dopo il ‘48 la Dc fa marcia indietro: i consensi ai comunisti in alcune aree d’Italia, soprattutto quelle centrali, preoccupano e così non se ne fa nulla fino al ‘70. In quegli anni la lunga esclusione del Pci dal governo, per ragioni di fedeltà atlantica, rende difficilmente controllabile l’onda di consensi crescenti nel Paese e così si decide di istituire le Regioni, anche per consentire ai comunisti di governare, almeno a livello territoriale.
Dalla sanità all’autonomia differenziata
Le tappe fondamentali da ricordare, dal punto di vista giuridico e politico, sono poche: nel ‘92 viene regionalizzata la sanità, nel 2001 con la riforma del Titolo V (voluta dall’Ulivo e da Franco Bassanini, anche per contrastare l’ascesa della Lega) vengono aggiunte molte competenze. E siamo ai giorni nostri: con l’Autonomia differenziata (nata con i referendum del 2017 e poi varata nel 2024), bocciata dalla Corte costituzionale ma ancora nei piani della Lega e del governo. E con il dibattito attuale sulle Regioni che, almeno a partire dal Covid, sono viste sempre più con sospetto.
Ed eccoci a Sales, costituzionalista napoletano molto noto e rispettato, e a Spirito, giornalista e scrittore, che lanciano un vero e proprio j’accuse contro le Regioni. Lo riportiamo per punti, aggiungendo anche le considerazioni del costituzionalista Francesco Clementi, ordinario di Scienze penale alla Sapienza.
La Sanità e il Covid
Sales: «Domandiamoci, a 55 anni di distanza: hanno mantenuto le promesse? Hanno funzionato? Il Covid ha dimostrato che sono state un fallimento. Venti sistemi regionali diversissimi hanno fronteggiato un unico attacco epidemico. Un presidente di Regione ha perfino firmato un contratto con la Russia per comprare il vaccino Sputnik. Anche il sistema sanitario del Nord, considerato più efficiente, non ha retto. Se il Covid fosse arrivato al Sud, sarebbe stato una tragedia enorme». Aggiunge Clementi: «Ai tempi del Covid insegnavo a Perugia e sono stato tra i primissimi vaccinati, perché sono residente a Roma e Nicola Zingaretti aveva dato la priorità a scuole e università. Ero l’unico: tutti i miei colleghi non erano vaccinati. Questo arlecchinismo nella tutela della salute è diventato un dramma umano. Da una parte il governo ha usato il famoso Dpcm di Giuseppe Conte, di rango secondario, e i decreti legge. Dall’altra, le Regioni hanno preteso di agire in autonomia. Abbiamo dovuto aspettare un anno, con la sentenza della Corte costituzionale sulla Valle D’Aosta, per dichiarare una banalità fondamentale: visto che la pandemia ha dimensione globale, è lo Stato che si deve occupare di proteggere i cittadini».
La vicinanza ai cittadini
Sales: «Si dice che siano più vicine al cittadino, rispetto allo Stato, e quindi ci sia più coinvolgimento. Le elezioni recenti ci dicono di no. C’è stato un tracollo della partecipazione, che nelle Regioni è stato più forte. L’Emilia-Romagna è rimasta sotto il 37 per cento di votanti, il Lazio sotto il 38, la Lombardia al 40». La disaffezione dei cittadini, dunque, è più marcata.
Tasse e classe dirigente
L’idea che un decentramento avrebbe migliorato la classe dirigente nazionale corrotta si è dimostrata infondata. Sales: «C’è stata una rifeudalizzazione, un ritorno indietro ai sistemi clientelari e ai sistemi familisti. Il motivo è che il potere regionale non è sostenuto dalla tassazione». Spirito: «Le Regioni impongono il 7 per cento delle tasse e spendono il 30 per cento della spesa nazionale, scardinando così il principio democratico del no taxation without representation». Le casse delle Regioni sono rimpinguate da fondi nazionali ed europei, un capitale parassitario trasferito senza troppi controlli. Da notare anche che gli stipendi dei consiglieri regionali possono essere più alti di quelli dei parlamentari, a dimostrazione che c’è una forbice inversa tra responsabilità e denaro.
Leaderismo
Il finanziamento alle Regioni, sganciato dalla responsabilità, ha dato forza a potentati locali, quelli che Massimo D’Alema chiamava i cacicchi, che hanno creato sistemi di potere autonomi. I quali non hanno nessun interesse a contare a livello nazionale e quindi sono svincolati dai partiti. L’elezione diretta del presidente di Regione (1991) ha contribuito all’emergere di verticismi e a una torsione monocratica iper presidenzialista. Che ci fosse questo rischio, lo aveva capito anche il dc Mariano Rumor già nel 1970, quando mise in guardia dalla nascita di «satrapi e clan».
La corruzione
Di fronte alla corruzione romana, c’è più onestà nelle Regioni? «No – dice Sales – lo scandalo economicamente più rilevante è quello veneto del Mose. E poi c’è quello della sanità lombarda di Formigoni e molti altri». È di ieri la nuova inchiesta siciliana contro l’ex «governatore» Totò Cuffaro. Spirito: «Piero Bassetti, primo presidente della Regione Lombardia, spiegò così i motivi delle sue dimissioni: perché tutto quello che pensava si stava sfaldando, e perché già giravano le mazzette e non voleva essere coinvolto».
La riduzione dei divari e il Meridione
La speranza era che il regionalismo aiutasse a colmare i divari tra Nord e Sud. La verità è che né nelle Regioni a statuto speciale né in quelle meridionali c’è stato un processo di miglioramento. È stato semplicemente ratificato lo status quo delle economie locali, con una moltiplicazione gli sprechi. Nel libro di Sales e Spirito si spiega che il divario economico tra Nord e Sud era del 10-15 per cento nel 1860. Nei primi venti anni dopo la Seconda guerra mondiale si è registrata una riduzione del divario pari ai sei punti percentuali, un risultato poi mai più nemmeno avvicinato: 164 anni dopo, la differenza tra Nord e Sud è arrivata al 45 per cento.
L’isolamento dei Comuni
La storia italiana si basa su una tradizione municipalista molto radicata. Ma le Regioni hanno compresso questa istituzione, sottraendo risorse ai Comuni, che ora sono delegittimati e senza fondi. E che devono far fronte anche all’equivoco delle città metropolitane, senza poteri e senza elezione diretta, che hanno creato un altro livello confuso (per non parlare delle Province, restate in mezzo al guado).
Il progresso economico con il centralismo
Secondo gli autori del libro, le Regioni non hanno inciso minimamente sulla storia economica del Paese. Sales: «C’è stato un effetto, in misura molto ridotta, solo nelle piccole realtà, nel Trentino, nella Valle d’Aosta, in Abruzzo e Basilicata. Hanno inciso molto di più la trasformazione dello sci in sport di massa e la scoperta del petrolio in Basilicata. Regioni forti come l’Umbria hanno perso 70 posizioni in Europa per Prodotto interno lordo». Spirito: «Oggi è impopolare dirlo, ma i momenti migliori per l’economia italiana, dall’’industrializzazione al boom, sono avvenuti con il centralismo».
La suddivisione innaturale e l’identità
Come sono state suddivise le Regioni? Da un geografo, non su criteri di omogeneità, ma sulla base di mappe militari risalenti al secolo scorso. Alcune hanno 10 milioni di abitanti, altre 300 mila. L’unica che aveva una sua uniformità era la Toscana, che nasceva dal Gran Ducato. Sales: «La Campania è un’invenzione totale. Io non mi sento campano ma napoletano, e quasi nessuno sente l’appartenenza a una Regione».
La Conferenza Stato-Regioni
Questo aspetto ce lo racconta bene Clementi: «Con la riforma monstre del Titolo V, vengono cambiati oltre 20 articoli della Costituzione. Ma all’autonomia legislativa riconosciuta alle Regioni non corrisponde un luogo fisico. Abbiamo il bicameralismo paritario e non abbiamo un Senato delle autonomie o delle Regioni. E quindi, nel tempo, si sono ampliati di fatto i poteri delle Conferenze Stato-Regioni-Autonomie. Con un sistema non costituzionalizzato e opaco. In via della Stamperia, in questo luogo di cui non sappiamo nulla perché le sedute non sono pubbliche e non c’è rendicontazione né verbalizzazione, avvengono le trattative per i flussi finanziari della più grande allocazione delle poste di bilancio».
Regioni a Statuto speciale
Hanno ancora senso le Regioni a statuto speciale in un sistema come il nostro? Per Clementi no: «Le ragioni internazionali alla base della loro istituzione sono cadute da tempo, va ridiscusso tutto il sistema». L’autonomia differenziata Sales la chiama «la secessione dei ricchi», «un separatismo subdolo»: «L’approvazione della legge sull’autonomia differenziata è stato il più serio tentativo di disfare la nazione compiuto in più di 160 anni di storia patria. Con l’autonomia, alcune Regioni potranno avere dei poteri che la Catalogna non ha mai avuto, così come non li hanno i Laender tedeschi. È una secessione a freddo, senza masse che scendono in piazza come invece è avvenuto a Barcellona». Per Sales e Spirito si tratta di una «costituzionalizzazione delle differenze territoriali e delle diseguaglianze sociali». Che sia stata sventata definitivamente dalla Corte costituzionale, con la sentenza del 2024, è tutto da vedere. Spirito: «La premier Meloni ha promesso a Calderoli che dopo le Regionali se ne riparlerà. E intanto nella legge di Stabilità sono stati fissati i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, con l’ennesima furbata leghista».
Gli errori del centrosinistra
Nel libro queste critiche sono dettagliate, con una messe importante di dati. Sales insiste molto sul ruolo della Lega e sulla spinta antimeridionalista, ma anche sul ruolo della sinistra: «La Lega è passata dalla secessione all’indipendenza, dal devolution al federalismo, fino alla differenziazione. Con il paradosso di essere diventata una forza sovranista. La riforma del titolo V, con l’attribuzione di molte competenze, fu un errore tattico dei Democratici di sinistra. Fu una follia provare a competere con la Lega sul suo stesso campo. Ricordo che il primo a parlare di Padania fu Guido Fanti, sindaco comunista di Bologna. Anche Bersani riempì di elogi la Lega. Fassino diventò il coordinatore del nord. La sinistra fece una stupidaggine dietro l’altra». Elly Schlein è stata decisa nel far cambiare rotta al Pd. Ma Spirito aggiunge: «E se alle primarie avesse vinto Stefano Bonaccini? L’autonomia differenziata avrebbe avuto il voto del Pd o la sua benevola astensione».
Gli errori del centrodestra
Ma anche la destra ha grandi responsabilità nella deriva iperregionalista, considerata anche la tradizione centralista. Sales e Spirito ricordano che nel 1970 Giorgio Almirante fece ricorso all’ostruzionismo, con un discorso di oltre 10 ore sostenendo che «le Regioni saranno carrozzoni clientelari e di potere e rappresenteranno permanentemente un pericolo per l’unità della nazione». A gennaio 2014, quando era deputata, Giorgia Meloni presentò un progetto di legge che proponeva di abrogare l’articolo 116 della Costituzione, quello che stabilisce il principio dell’Autonomia differenziata. A dicembre dello stesso anno, durante un evento organizzato a Roma dal suo partito, la premier ribadì di volersi intestare la «battaglia per l’abolizione delle Regioni». A marzo 2015 aveva aggiunto che serviva «una nuova architettura, perché il regionalismo è stato un fallimento e ha prodotto molto spesso solo corruzione e burocrazia». Due anni più tardi, nel 2017, Fratelli d’Italia invitò a votare no al referendum indetto dalla Regione Lombardia guidata da Roberto Maroni, per strappare maggiori poteri allo Stato centrale.
Il riequilibrio dei poteri
Analizzato il cahier de doléances contro l’assetto attuale, che si può fare? Considerando che l’abolizione è fuori questione: attualmente solo Carlo Calenda sarebbe favorevole. Il primo intervento che chiedono sia gli autori del libro sia Clementi è un riequilibrio dei poteri, con un ritorno della sanità al potere centrale.
Clementi: «La grande forza delle autonomie è che governano la realtà. E dal territorio è arrivato anche un importante ricambio della classe dirigente. Ma credo si debba ridiscutere numero, ampiezza e competenza delle Regioni. La sanità va rimodulata a livello statale, la prova che si deve cambiare l’ha data il Covid. E poi bisogna modificare il bicameralismo paritario. Serve una Camera bassa, che sia politica. E una alta che sia il volto del Paese e del territorio, e che faccia le pulci alla prima, che sia un contropotere, come accade con la House of Lords britannica e con il Senato americano».
Spirito: «Bisogna che siano restituite allo Stato centrale molte funzioni. Non solo la sanità, ma anche la formazione professionale. Le Regioni dovrebbero fare quello che non fanno e cioè la programmazione, la pianificazione del territorio. Vanno poi abolite molte società partecipate, carrozzoni mangiasoldi». Sales: «La sanità dovrebbe tornare allo Stato, ma con un rapporto tra centro e territorio molto diverso. Come avviene in Germania, che ha una gestione centrale ma è uno Stato federale. E bisogna intervenire sulla forma e la struttura delle Regioni, che sono il luogo in cui si sta costruendo una forma degenerata di democrazia».
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6 novembre 2025 ( modifica il 6 novembre 2025 | 15:32)
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