Home / Politica / Referendum sulla Giustizia | La campagna «contro», i mediani e i populisti. Tutte le variabili del voto

Referendum sulla Giustizia | La campagna «contro», i mediani e i populisti. Tutte le variabili del voto

//?#

Chi vincerà il referendum sulla Giustizia? Qualche semplice calcolo può aiutarci a capirlo. Partiamo dagli schieramenti elettorali. Al massimo del suo successo, e cioè alle elezioni politiche del 2022, il centrodestra ha ottenuto 12.305.000 voti. Mentre l’elettorato di sinistra-5 Stelle, al punto più alto della sua mobilitazione contro il governo, ha raggiunto 12.250.000 voti nel Sì al referendum sul Jobs Act. Praticamente alla pari. 

Se dovessimo dunque fare previsioni fondate sulle preferenze politiche degli elettori, se ne potrebbe dedurre che vincerà lo schieramento capace di fare il pieno, di portare alle urne tutta la propria gente. Conterà, in altri termini, l’affluenza

E qui, nonostante una piccola «fronda riformista» nel Pd, è il centrodestra a partire in leggero svantaggio. Non solo perché il suo elettorato è di solito meno attivo e più pigro. Ma anche perché è molto più facile mobilitare «contro» qualcosa, piuttosto che «per» qualcosa. È la ragione per cui i referendum senza quorum, come sarà questo sulla Giustizia, sono delle trappole per i governi: consentono ai nemici il gioco del «tutti contro uno» (una, in questo caso)

La coalizione guidata da Giorgia Meloni dovrà dunque trovare un modo per convincere i propri elettori che c’è in gioco qualcosa di molto grosso, che va oltre la riforma della Giustizia e riguarda l’allineamento politico dei prossimi anni. Ma, naturalmente, più politicizzerà la consultazione e più galvanizzerà anche i suoi avversari, con il rischio che una eventuale sconfitta abbia poi conseguenze politiche sul governo: non basta infatti dichiarare che non le avrà, per scongiurarle davvero.

Vediamo ora il secondo livello di questa specie di gioco delle matrioske: l’elettorato «mediano» non polarizzato, che non vota cioè per appartenenza a uno dei due poli. Si dice da tempo che il centro non c’è più, o almeno che non si vincono più le elezioni al centro, perché l’elettorato si è polarizzato su un gran numero di questioni, ed è sempre meno disposto a traversare di volta in volta, scegliendo laicamente, la linea che divide i due schieramenti. Ma in realtà nel caso del referendum, come in qualsiasi consultazione a tendenza bipolare (per esempio i collegi uninominali), l’elettorato «mediano» può essere decisivo proprio perché marginale.

Alle passate elezioni politiche Azione più Italia viva hanno ottenuto 2.200.000 voti. È difficile dire di quale schieramento si sentano oggi parte quegli elettori (lasciamo stare i leader). Ma, in ogni caso, anche tra coloro che non sono di centrodestra ci saranno molti favorevoli alla riforma della Giustizia del centrodestra, a causa delle origini (liberali e garantiste) dei due partiti. Un caso ancor più interessante sono i quasi 800.000 voti ottenuti alle elezioni politiche da +Europa. Nella discendenza radicale la separazione delle carriere tra pm e giudicanti dovrebbe essere un valore assoluto, anche se oggi quel partitino è schierato nettamente all’opposizione del governo Meloni. Dunque si può dire che, nel complesso, c’è una massa di quasi 3 milioni di elettori «mediani/razionali», che potrebbero davvero decidere l’esito della consultazione referendaria.

Infine, l’ultimo livello della matrioska: gli elettori «populisti/arrabbiati». La questione Giustizia (o, meglio, la questione Procure) è stata in Italia l’innesco della grande onda populista che per un paio di legislature ha sconvolto il panorama politico nazionale. Ma la lunga guerra combattuta in Italia tra «giustizialisti» e «garantisti» ha diviso anche quel fronte. Nell’elettorato «arrabbiato» che stava con Grillo molti considerano i giudici la migliore, se non l’unica garanzia dei loro diritti, mentre disprezzano la politica. Ma in quella parte che è passata prima con Salvini e poi con Meloni ci sono invece anche quelli che ce l’hanno con le Procure «rosse», la Corte dei conti, la Corte costituzionale, la Corte europea dei diritti dell’uomo, e chi più ne ha più ne metta. Come sono orientati in materia di giustizia, per esempio, i 500 mila e passa elettori di Italexit delle ultime elezioni politiche, una specie «orbaniana» indigena? E come sono orientati, dall’altro lato, gli elettori dell’estrema sinistra, da Potere al popolo ai centri sociali, non esattamente dei «legalitari»?

Dunque l’esito del referendum, per la prima volta dopo molto tempo, è un rebus avvolto in un mistero dentro un enigma. Nessuna delle tre matrioske ci dà una risposta sicura. Saranno forse più importanti ai fini del risultato finale gli eventi che si svolgeranno da qui al giorno del voto. E sospetto che a questo stiano pensando i leader del Sì e del No, più che alla pantomima dei comitati e dei testimonial: ognuno si interroga se può accadere qualcosa che influenzi gli elettori molto più della disanima tecnica sui dettagli della riforma.

Facciamo un esempio: Garlasco. Vicenda ormai seguita dall’opinione pubblica italiana con un’attenzione superiore (ahinoi) a quella dedicata alla guerra in Ucraina. Uno sviluppo pro o contro i pm della saga potrebbe avere la stessa forza mediatica che la vicenda di Enzo Tortora ebbe nel far vincere il sì nel referendum sulla responsabilità civile dei magistrati del 1987 (d’altra parte di «cold case» che possono essere riaperti con un colpo di scena giudiziario ce ne sono parecchi). Effetti rilevanti, nonostante una certa assuefazione, potrebbe avere una nuova inchiesta su politici di primo piano. Da qui alla primavera, tutto ancora può cambiare. Ne vedremo delle belle.

La newsletter Diario Politico

Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di politica iscriviti alla newsletter “Diario Politico”. E’ dedicata agli abbonati al Corriere della Sera e arriva due volte alla settimana alle 12. Basta cliccare qui.

4 novembre 2025 ( modifica il 4 novembre 2025 | 21:03)

4 novembre 2025 ( modifica il 4 novembre 2025 | 21:03)

Fonte Originale