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Radiohead di nuovo insieme dopo 7 anni: a Madrid è sold out nonostante il tentativo di boicottaggio

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Tira una nostalgica aria di anni 90 nel rock senza novità di questi tempi. Dopo la reunion degli Oasis, sono stati i Radiohead a tornare insieme su un palco dopo 7 anni dall’ultima apparizione. La Movistar Arena di Madrid ha ospitato martedì sera il debutto del tour di reunion della band inglese: venti show annunciati, ancora tre repliche a Madrid, quindi Bologna per quattro serate (14-15-17 e 18 novembre) e ancora Londra, Copenaghen e Berlino.

Oasis o Radiohead. Da una parte i fratelli Gallagher, esplosivi e diretti, chitarroni e ritornelloni, arroganza da cool britannia, obiettivo la pancia senza passare dal “messaggio”. Dall’altra cinque ragazzi di Oxford, rock più cerebrale ed elettronica, coinvolgimento socio-politico e paranoie su un futuro tecno-distopico, pensiero in anticipo sulla fragilità mascolina del nuovo Millennio. Una reunion da sold out nonostante le richieste di boicottaggio arrivate attraverso il movimento BDS con la voce di Roger Waters e del regista Ken Loach che, dopo un concerto del 2018 a Tel Aviv della band, li accusano di essere troppo morbidi con Israele. «Non suonerei in Israele, non vorrei trovarmi a meno di 5000 miglia dal regime di Netanyahu», aveva detto il frontman Thom Yorke nell’unica intervista (prima del cessate fuoco) concessa per la reunion al Sunday Times.

Il palco è al centro della platea, si vendono più biglietti ma ahimè si perde connessione con la band: vedere la schiena o il profilo di Thom Yorke non aiuta a entrare nel clima e non fa spettacolo. Una gabbia di pannelli led racchiude la scena in un cilindro semi trasparente: dietro alle riprese live, spesso modificate e distorte in diretta, e alle grafiche minimal si percepisce la presenza della band. Gli schemi restano abbassati per i primi 15 minuti – come fossero un guscio protettivo, come per abituare di nuovo al contatto con i fan occhi e pelle – prima svelare il palco e dare geometria variabile con i loro movimenti. La scaletta pesca da tutti i dischi della band, tranne quello di debutto Pablo Honey. Creep quindi non c’è, facciamocene una ragione, anche se magari qualche volta la infileranno a sorpresa. Gli album più rappresentati sono Hail to the Thief (Yorke ci ha lavorato di recente per un progetto di contaminazione scespiriana) e il capolavoro Ok Computer. Kid A e Amnesiac, i due dischi che portarono nel progetto l’elettronica, seguono.

 Il resto fa – giustamente – da punto della bandiera. Curiosa per una band che ha sempre evitato le furberie, la scelta di aprire con Let Down, portata in classifica dopo 28 anni da Tik Tok, ma appena Thom Yorke attacca arrivano quella disperazione e quell’alienazione che chi non ci ha versato sopra lacrime vere e si accontenta dei quei pochi secondi della piattaforma video non può capire. I porti sicuri della scaletta sono le melodie delicate di Let Down, No Surprises, Fake Plastic Trees, e Karma Police che chiude lo spettacolo. Ma la navigazione sarebbe noiosa senza l’imprevedibilità degli strappi: e allora ecco i muri di suono che Jonny Greenwood crea avvolgendosi fisicamente intorno alla chitarra e agli altri strumenti, la cavalcate di Everything in It’s Right Place, una 15 Step tribale, il gorgo che ti trascina di Idioteque con Yorke che finalmente lascia andare il corpo, una lancinante Paranoid Android.
Sono passati sette anni, forse è anche passato il rock a cui proprio loro tirarono una prima coltellata con Kid A, ma i Radiohead sono rimasti lo specchio delle nostre inquietudini e delle nostre paure. E quelle non passano.

5 novembre 2025

5 novembre 2025

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